Redatto il 5 settembre 2023 aggiornato il 6 agosto 2024
Su questo problema sembra si sia perso almeno un anno da quando era emerso.
Una filiera per esportare il granchio blu in America
Il mercato. I primi passi del sistema per pescare, lavorare ed esportare il crostaceo infestante Nelle pescherie Despar in vendita da una settimana
Lello Naso per Il Sole 24 ore (4 settembre 2023).
Trovate le mie considerazioni in fondo.
«Se oggi ne avessimo la disponibilità, avremmo ordini di granchio blu sul mercato americano per cento container al mese, 1.500 tonnellate di prodotto. Ma la domanda e la potenzialità sono infinitamente più alte. Negli Usa c’è un problema di restrizione della pesca all’aragosta che ha fatto aumentare la richiesta di granchio blu, un crostaceo che gli americani consumano almeno una volta a settimana». Luigi Consiglio, consulente di direzione specializzato nell’alimentare opera da 40 anni negli Usa . Ha portato, tra gli altri, Rana a Chicago e Valdo nella Napa Valley. Nell’ultimo anno ha aperto la vendita del granchio blu italiano lavorando con Mariscadoras, start up di Rimini con cinque giovani donne al comando, e Tagliapietra, impresa familiare di Venezia, specializzata nella trasformazione di prodotti ittici. Ad agosto sono stati inviati i primi due container, 30 tonnellate di prodotto. Granchi blu pescati nell’Adriatico, lavorati a Venezia e spediti in Florida.
Non ci sono dati ufficiali, ma secondo le stime degli operatori, nelle reti dei pescatori italiani finiscono circa 45 tonnellate di granchi blu al giorno. Dunque, se la domanda americana è così forte e la disponibilità di prodotto così alta, perché il granchio blu rimane un flagello per la pesca italiana (si veda l’articolo accanto) e non un’opportunità? Consiglio spiega le dinamiche della filiera e del mercato Usa: «Il prodotto deve essere disponibile in maniera continua a prezzo costante. Per questo sono necessari accordi con i pescatori. Poi serve una capacità di trasformazione adeguata, che al momento in Italia non c’è. Infine, è decisiva la conoscenza e l’apertura doganale del mercato Usa».
Sul progetto è in prima linea il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida che ieri, in un convegno sul Sud a Scilla, in Calabria, ha ricordato l’impegno del Governo: «C’è stata una fase che ha portato a una riproduzione incontrollata del granchio blu. Abbiamo dato risposte immediate, stanziando 2,9 milioni per fronteggiare il problema, consentendo agli operatori di non avere spese di smaltimento. Crediamo che il granchio blu possa diventare un’opportunità; è un prodotto molto consumato in diverse aree del mondo, ed è evidente che si può attivare una filiera di consumo».
Mariscadoras ha avviato l’attività circa sei mesi fa. «Abbiamo costituito la società a dicembre 2021», racconta Alice Pari, una delle socie fondatrici, «per gestire le specie aliene che popolano i nostri mari. Il granchio blu è la più problematica, ma la più buona da mangiare. Ci siamo accorte che in Italia – spiega Pari – non c’è la cultura del granchio. Abbiamo iniziato un percorso per farlo conoscere e nello stesso tempo abbiamo studiato il mercato globale. Negli Usa e in Estremo Oriente, dove già esportano le aziende greche, c’è una domanda molto forte di granchio blu, ma va consegnato semilavorato e abbattuto».
Il primo passo concreto è stato un accordo per il ritiro garantito del granchio blu a 1,5 euro al chilo contro un prezzo che alle aste quotidiane del pesce oscilla tra 0,50 e 5 euro al chilo (per i pezzi più grandi e pregiati). Poi l’accordo con Tagliapietra per la trasformazione del prodotto e con un distributore americano per la commercializzazione negli Usa, dove il granchio blu viene venduto, al consumatore, tra i 16 e i 32 dollari al chilo.
«Abbiamo sposato il progetto», racconta Daniele Tagliapietra, amministratore delegato dell’azienda di famiglia, «perché il granchio blu ci consente di diversificare rispetto allo stoccafisso, il nostro core business, che ha problemi legati all’approvvigionamento del merluzzo su cui ci sono restrizioni di pesca». Tagliapietra ha avviato un investimento in un nuovo stabilimento a marzo scorso. «In questo momento», spiega l’amministratore delegato «abbiamo una capacità di trasformazione di granchi blu di 5-6 tonnellate al giorno. A regime, passeremo a 15 tonnellate». La lavorazione per l’export negli Usa consiste nella pulizia e nell’abbattimento. Mentre per il mercato interno si lavora sulla produzione manuale della polpa, destinata ai ristoranti, e meccanica, destinata ai prodotti pronti. Mariscadoras, per esempio, con il marchio Blueat, commercializza una linea di sughi. Tagliapietra ha firmato un accordo con il pastificio artigianale Artusi per la fornitura di polpa lavorata a macchina per il ripieno dei ravioli.
Quello del mercato interno è un altro fronte, più difficile da aprire. Daniele Tagliapietra, lo dice annegando le parole in una mezza risata: «Le moeche del granchio blu le trovo più buone di quelle dei granchi della Laguna». Tagliapietra sa che sta toccando il sacro graal della cucina veneziana (con le sarde in saor): i granchi di Laguna pescati nel breve periodo in cui mutano e sono senza corazza.
La sua, però, non è una provocazione. Il granchio blu, presente da anni nei menù dei ristoranti etnici e del catering (importato dalla Tunisia), è entrato nelle ricette di molti chef stellati. Chiara Pavan, un stella Michelin al Venissa di Venezia, usa carapace, guscio, uova e polpa. Tino Vittorello del Tino Jesolo, prepara insalate e spaghetti. Lo usano anche Danilo Canu allo Shannara Due di Milano e Simone Tondo al Racines di Parigi, gli stellati Davide Scabin e Igles Corelli.
Gli chef e i ristoranti sono gli apripista per le famiglie, lo strumento di marketing per arrivare alla vendita al dettaglio e alla grande distribuzione. Mariscadoras ha in corso contatti con Coop e Conad per la commercializzazione di prodotti finiti. Mentre Italmarket e Despar hanno avviato la vendita del granchio blu nei loro punti vendita. «Abbiamo appena sottoscritto un accordo con i Consorzi dei pescatori di Goro e Scardovari», dice Giovanni Taliana, direttore di Despar Veneto «per portare il granchio blu nei nostri 140 punti vendita di Triveneto, Emilia Romagna e Lombardia. Riteniamo sia un buon prodotto a un prezzo accessibile, tra i 6 e i 7 euro. Pensiamo che le famiglie possano apprezzarlo. Tra qualche mese tireremo le somme». La prima settimana ha dato segnali incoraggianti. Martedì sono stati venduti 400 chili, venerdì 700. Primi passi di una lunga marcia per limitare il granchio blu nei mari e portarlo sulle tavole degli italiani.
Trovate le mie considerazioni dopo l’articolo del Wall Street Journal del 29 agosto 2023
Il mercato americano dell’aragosta vale 388 milioni di $ .
Questa è un’opportunità per i produttori di granchio blu perchè l‘aragosta del Maine, a causa del cambiamento climatico (*), sta spostandosi sempre più a Nord e in acque profonde. E i volumi pescati sono scesi del 26% dal 2016 ad oggi.
I pescatori si stanno convertendo alla coltivazione delle alghe (kelp), usate come integratori.
L’aragosta del Maine è molto diversa dalla nostra perchè assomiglia ad un astice.
Ricordo di averla mangiata anche nei panini, i cosidetti “roll”, che si usano anche per gli hot dog. Era diffusa e il suo prezzo era molto contenuto.
(*) oltre alle restrizioni citate da Luigi Consiglio, che peraltro sembrano varate per proteggere la specie – l’aragosta del Maine – che si sta estinguendo.
p.s.: da notare come un giornale conservatore come il Wall Street Journal si occupi seriamente di cambiamento climatico, al contrario di molti negazionisti di destra italiani.
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