Andrea Petronio (foto sopra), Senior Partner di Bain, prevede che il 18% del commercio sarà on-line nel 2030 .
Vi proponiamo un estratto di un articolo pubblicato da Retailwatch di Luigi Rubinelli
Ominchannel per i digical
04.02.2015
Autore
Andrea Petronio
Febbraio 2015. I recenti titoli che si leggono sulla stampa specializzata americana non sono null’altro che una provocazione:
“I consumatori sono in fuga dai negozi fisici!”,, “Il grande esodo dai mall: Macy’s affronta con successo la crisi del Mall americano” . Sembrano rafforzare la previsione che entro la fine di questo decennio per molti settori internet diventerà il principale luogo deputato per fare shopping.
Purtroppo questi titoli non la dicono tutta. E capisco i molti, tra clienti ed amici che incontro quotidianamente, che non possono che uscirne confusi da quanto sta accadendo e da quello che si sente dire in giro.
Non c’è dubbio che la tecnologia digitale sta trasformando il settore della distribuzione. I dispositivi hanno già cambiato le modalità attraverso cui i clienti scoprono, valutano, acquistano, ricevono, utilizzano e, infine, posso restituire un prodotto. E, certo, sempre di più i consumatori interagiscono anche e soprattutto online.
Se guardiamo nuovamente oltreoceano, uno dei mercati digitali più evoluti, per provare a farne la cartina di tornasole di cosa potrebbe accadere anche da noi nel prossimo futuro, negli ultimi 20 anni le vendite on-line sono cresciute fino a raggiungere il totale del 6% delle vendite al dettaglio (escludendo benzina e servizi di ristorazione) e sono circa all’11% se guardiamo alle 30 top categorie di prodotto indicate da Forrester.
On line al 18% nel 2030
Ma se il tasso di crescita dell’ e-commerce è sempre stato elevato, questo ha comunque rallentato dal 30% all’anno dei primi anni 2000 a meno della metà di oggi.
Se la tendenza continua così, la quota di vendite on-line delle top 30 categorie arriverà a circa il 18% entro il 2030, superiore in alcuni casi (come per la musica) e più bassa in altri (come per il food).
Anche se il 18% è un numero significativo, esso però non è propriamente sinonimo di “fine dei negozi fisici”.
Inoltre occorre forse evidenziare alcuni altri aspetti:
• circa la metà delle vendite e-commerce sono appannaggio di retailer che hanno da sempre una presenza anche fisica. I retailer brick&mortar controllano ancora tra il 94% e il 97% del totale delle vendite al dettaglio. Diversi grandi operatori tra cui Apple e Macy’s stanno aumentando le loro vendite on-line più di Amazon
• è sempre più difficile distinguere le vendite e-commerce da quelle “normali”. Immaginate che una cliente va in un negozio di Macy’s, si rende conto che il prodotto che cerca è esaurito, usa quindi il suo smartphone per ordinare il prodotto da un altro negozio di Macy’s, che gli recapita a casa il tutto lo stesso giorno. È una vendita e-commerce o fisica? La quota di vendite e-commerce indica sempre di più una “percentuale di transazioni” più che la percentuale di vendite di un canale!
• Si potrebbe sostenere che “Amazon ha prezzi così bassi solo perché sta investendo pesantemente nel conquistare quote di mercato”. Ma quanto è vero tutto ciò? I confronti di prezzo sono sempre difficili, anche volutamente complicati: diversi panieri di prodotti selezionati, svariate modalità di trattamento delle promozioni e di couponing, programmi fedeltà non paragonabili, e molte altre variabili. I prezzi di Amazon non sono sempre inferiori rispetto ai concorrenti:
da uno studio recente svolto in USA su centinaia di articoli, i prezzi dei Supercenter di Walmart erano del 16% inferiori ad Amazon. Un altro studio ha trovato che i prezzi presso diversi retailer fisici sono circa del 10% al di sotto di Amazon per gli articoli che costano meno di 25 dollari (provate a pensare perché? Ha a che fare con “l’ultimo miglio”, di cui parlo tra poco…)
I costi on line aumentano
Che dire dunque riguardo alle strutture di costo “leggere” degli operatori e-commerce? Anche in questo i retailer tradizionali non sono necessariamente in svantaggio. I pure player spediscono ai clienti da grandi centri di distribuzione molto costosi, anche se altamente produttivi (uno di questi, “state of the art”, può costare fino a 200 milioni di euro, pari a circa 10 negozi “big box”). Un numero inferiore di centri di distribuzione per i pure players significa ovviamente investimenti inferiori, ma tempi di evasione degli ordini che possono essere elevati con costi di handling maggiori. Allo stesso tempo i retailer tradizionali partono già con centinaia, alcuni migliaia di “centri di distribuzione”, che sono chiamati “punti di vendita”. Può costare solo poco di più effettuare il picking dallo scaffale di un negozio di quello che costa da un magazzino automatizzato; e la vicinanza al cliente finale fa spesso risparmiare almeno altrettanto in costi di spedizione (e anche nei resi).
Se ci pensiamo bene, la rincorsa spasmodica al “same day delivery” o addirittura al “Sunday delivery” inseguito dai pure players più performanti li spinge inevitabilmente ad aumentare i centri di distribuzione (magari più piccoli e più vicini al punto di consegna finale) o : è la “rincorsa” all’ultimo miglio. E così i punti vendita tradizionali, che sono già vicini ai clienti, sono potenzialmente un punto di consegna già disponibile e anche meno costoso. Da qui Amazon che si allea con le Poste o, sull’altra sponda, per esempio H&M che pubblicizza il click & collect. …
….
Omnichannel è vetrina
Per i retailer omnichannel il sito web e le app non sono solo veicoli per l’e-commerce ma rappresentano una immensa vetrina sul mondo. E, di converso, i negozi non sono solo delle vetrine, ma sono dei luoghi “digitalmente” abilitati all’ispirazione, laboratori di prova, punti di acquisto, luoghi per il pick-up istantaneo, help desk, centri di spedizione e punti per la restituzione dei prodotti.
Un negozio oggi non deve necessariamente avere lo stesso traffico pedonale che è servito in passato per avere successo. Se il 20% delle vendite arriveranno da spedizioni di ordini effettuati on-line dai clienti più vicini al punto di vendita, questi saranno comunque dei negozi validi.
Ed è per questo motivo per cui alcuni pure-player stanno aggiungendo dei negozi fisici al loro business (*). Ma è anche per questo che sicuramente non serve avere centinaia o migliaia di negozi fisici tutti uguali e pieni della stessa merce!
Se guardiamo i bilanci delle aziende e-commerce questi, come per i retailer fisici, questi mostrano un ampia varietà di strutture di costo e risultati. Ma hanno comunque una chiarissima caratteristica, di molto diversa rispetto ai retailer fisici: presentano una marginalità operativa tra gli 1 e i 2 punti percentuali, quando per esempio i department store, discounters e gli specialty stores tipicamente si attestano tra il 4 e 10%. Margini minori possono derivare solamente o da prezzi più bassi o da costi più elevati.
Si potrebbe esclamare che “Amazon ha sì prezzi molto bassi, ma questi non sono giustificati solo dall’attenzione ai costi ma dal fatto che sta pesantemente investendo per acquisire quote di mercato e perché dare il servizio di market place gli consente di recuperare profittabilità significativa da investire sui suoi prodotti”.
Tutto vero, ma la cosa stupefacente è che pur con questa bassa profittabilità operativa il ritorno sul capitale investito (il ROI) per molti pure player è uguale, o anche maggiore, ai retailer tradizionali. Perché? Semplice, il capitale investito è di “n” volte inferiore a questi ultimi: i pure player hanno pochi depositi (=poca merce) e nessun punto di vendita (=nessun investimento). …”
(*) Si dice anche che Amazon, oltre ad aver aperto a Natale un negozio a New York (v. Amazon, Alibaba, i supermercati e l’e-commerce ), possa riprendere una parte dei 4’000 negozi fisici della catena di elettronica Radio Schack
Radio Schack era una catena molto famosa negli USA negli anni ’80, quando vi lavoravo (v. mia biografia), ma negli ultimi anni non aveva saputo adeguarsi ai nuovi metodi di vendita dettati dall’e-commerce.
Il 5 febbraio 2015 ha presentato istanza di fallimento (articolo 11 del codice 11 del Bankruptcy Code degli stati Uniti)
Da Wikipedia:
Chapter 11 is a chapter of Title 11 of the United States Bankruptcy Code, which permits reorganization under the bankruptcy laws of the United States. Chapter 11 bankruptcy is available to every business, whether organized as a corporation, partnership or sole proprietorship, and to individuals, although it is most prominently used by corporate entities.[1]
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