“Più mani straniere sulle grandi imprese”, così titolava un trafiletto (sopra) del Corriere di qualche settimana fà.
Questo si è avverato anche nella GD, ma quali sono le prospettive per i piccoli produttori italiani?
Guardando i numeri del Bilancio Sociale del 2003 di Esselunga si arriva alla conclusione che il destino delle PMI (piccole medie imprese), passa dalle decisioni dei grandi gruppi della distribuzione
il mio pensiero viene confermato da questi due casi divergenti che trovate di seguito e che ho “fotografato”, in giro per l’Europa nel 2009
Delhaize aveva un’impostazione improntata alla qualità mentre Tesco faceva delle scelte qualitativamente discutibili.
Se Tesco fosse riuscita a comprare Esselunga, i suoi clienti sarebbero stati – probabilmente – meno “contenti” che se la fosse comprata una catena più “evoluta”, come Delhaize
In Italia, comunque, qualunque catena straniera è obbligata, se non fosse altro per la logistica ed i costi connessi, a usare in maggioranza prodotti italiani o comunque prodotti trasformati in Italia.
Chi cerca di imporre nei propri supermercati ed ipermercati, tanto per fare un esempio pratico, 7 tipi di formaggio brie confezionato (1) – e l’ho visto con i miei occhi qualche anno fà, da Auchan nella periferia di Milano – è destinato a perdere soldi, clienti, quote di mercato.
(1) in Italia un brie confezionato nel reparto latticini per tutti i giorni dell’anno e uno al 100% di Meaux (capitale della regione della Brie) a Natale in gastronomia, bastano e avanzano…
Non a caso si è arrivati a dei risultati simili, fotografati dal Corriere del 9 dicembre
I gruppi italiani, in generale, perchè più vicini al consumatore crescono, quelli stranieri sono in difficoltà
Il problema è che , comunque vada in Italia, le catene straniere all’estero difficilmente promuovono i nostri prodotti.
Quindi non possiamo essere che d’accordo con il prof. Ravazzoni, che leggiamo di seguito
“Serve una Marca forte…”
“…progetti di marketing e distribuzione che impongano i nostri prodotti ai grandi retailer che contano.”
La “marca” è importante, l’etichetta conta meno. Ma conta comunque.
Basta guardare quella della Coop svizzera sotto
guardando solo il retro della confezione di cioccolato (v. sotto) vi si leggono ingredienti, con le provenienze precise (come fà la Coop in Italia, però solo attraverso la lettura del codice a barre, non ancora sull’etichetta).
il cioccolato è composto da zucchero di canna proveniente dal Paraguay, da nocciole provenienti dalla Turchia (22%), latte intero in polvere svizzero, burro di cacaco della Repubblica Dominicana, pasta di cacaco del Perù, pasta di nocciole al 4,5% provenienti dalla Turchia, etc..
Questo lavoro è molto costoso e rende molto meno flessibile l’approvigionamento perchè la Coop svizzera non può cambiare le ricette , i capitolati dei prodotti e il paese di provenienza, come e quando vuole.
Infatti la sua rivale Migros (CH) non lo fà.
In Italia sulla provenienza dei prodotti agricoli e trasformati sembra invece regnare una gran confusione.
Essa è dovuta in parte anche al fatto che mancano ancora, dal 2011 dei decreti di attuazione sull’etichettatura dei prodotti
la nuova etichettatura, prevista dalla UE per il 2014, dovrebbe equipararci alla Coop svizzera ma l’Italia, con i suoi soliti ritardi attuattivi, la recepirà?
Nel frattempo il fronte confindustriale che, giustamente dichiara e accetta che il 30% dei prodotti agricoli, che servono per la trasformazione, provengano dall’estero e fa dei distinguo tra
prodotti grezzi non italiani, trasformati in Italia (es.: il caffè) ,
frodi e italian sounding business, perpetrato da fornitori esteri
non deve ignorare che anche i fornitori italiani e la GD possono avere un ruolo importante per evitare di fuorviare il consumatore come abbiamo già detto in “Esselunga, la GD, il tricolore e l’italian sounding”
Il loghino tricolore della pasta Agnesi , su questa confezione comprata in Svizzera, riguarda la lavorazione, non il grano, quasi sicuramente estero! Forse è il caso di dirlo…
Dal punto di vista produttivo c’è anche chi si sta attrezzando per far fare un passo avanti al Made in Italy, anche (e non solo del marketing o dell’organizzazione come diceva il Prof. Ravazzoni) con il decreto legge sull’ Italian Quality (leggi sotto)
Senza arrivare al campanilismo dei nostri cugini d’oltralpe…
bisogna che ci attrezziamo seriamente nella costruzione della “Marca Italia”.
Altri lo stanno facendo, legando tra loro cibo, ristorazione e bellezze paesaggistiche e non.
Le ofelle di Parona dell’Unes
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