L’iniziativa di Confindustria veneto est
Caprotti e le successioni aziendali
«Servono chiarezza e rispetto»
Lorenza Raffaello / TREVISO
«La mia è una storia universale e può servire ad altri per capire cosa fare, o ancor meglio, cosa non fare in azienda durante il passaggio tra padre e figlio». Giuseppe Caprotti, figlio di Bernardo patron di Esselunga scomparso nel 2016, ha raccontato nel suo libro “Le ossa dei Caprotti” le dinamiche di un passaggio generazionale che non è andato a buon fine. In ambito del “Desk imprese di famiglia” promosso da Confindustria Veneto Est, il testo è stato presentato a Treviso giovedì sera, a cui seguiranno nuove date a Padova e nel Nord Est.
Giuseppe Caprotti racconta la storia della sua famiglia, dalle origini, 300 anni fa come proprietari terrieri e imprenditori tessili, fino alla nascita di Esselunga, inclusi i conflitti familiari che lo hanno portato ad essere escluso dell’impero, guidato ora dalla sorella. Edito da Feltrinelli, il saggio offre un ritratto inedito del padre di Giuseppe, un uomo verso il quale da un lato l’autore è molto riconoscente per il bene ricevuto in termini di educazione, orizzonti e benessere economico. Ma al quale, al tempo stesso, imputa non solo la perdita di una parte della propria vita, ma anche di un pezzo di identità, come uomo e come manager.
«Quello che è mancato è stata la chiarezza di fondo», spiega l’autore davanti ad una sala gremita di persone, «in un’impresa familiare devono esserci la chiarezza e il rispetto, nel nostro caso i ruoli non erano chiari, non c’era un organigramma. Fare un’impresa “come la voglio io” non è un modo costruttivo per fare business. Io e mio padre siamo partiti da intenti comuni ma poi siamo andati per binari paralleli che non si sono mai incontrati». Secondo Giuseppe Caprotti la chiarezza in azienda dovrebbe essere declinata su più fronti: «Nei rapporti, ma anche nelle funzioni, nelle deleghe e negli organi che dirigono l’azienda. Tutti devono muoversi nelle stessa direzione condivisa». Sul concetto di azienda familiare però non discute: «L’impresa familiare è un asset importante dell’economia italiana, semplicemente non si può pensare ai propri figli come persone che si possono usare, così non può funzionare. L’inserimento dei figli in azienda deve essere gestito in modo organico, insegnando loro che si può anche fallire».
All’incontro è intervenuto anche Luca Marcolin, family business advisor, esperto in tema di passaggio generazionale in azienda: «Anche nelle famiglie felici ci sono archetipi che si riporgono, le tematiche sono comuni, come la sfide della managerializzazione che traghetta un’impresa territoriale verso un’azienda più partecipata, cioè dall’io al noi».