Redatto il 26 settembre, aggiornato il 29 settembre 2023
Due studi rivelano che il consumo di alimenti ultraprocessati aumenta i rischi per il cuore
Oltre al diabete, all’obesità e a diversi tipi di tumore, il consumo regolare di alimenti ultraprocessati è associato a un aumento del rischio di malattie cardio e cerebrovascolari. E poiché le persone non ne sono consapevoli e consumano quantità crescenti di cibi industriali, spesso senza sapere che si tratta di questo tipo di prodotti, è necessario intervenire con regole severe, per limitarne la pervasività. È un monito forte, quello che arriva dal congresso della Società Europea di Cardiologia, svoltosi alla fine di agosto ad Amsterdam, in cui sono stati resi noti i risultati di due grandi studi che legano, con numeri imponenti, il consumo di cibi ultraprocessati al deterioramento della salute di cuore, vasi e cervello.
Nel primo, condotto dai ricercatori dell’Università di Sidney, in Australia, 10mila donne sono state attentamente seguite per 15 anni, tenendo conto delle abitudini alimentari e dei dati clinici. Il risultato è stato che chi consumava più alimenti ultraprocessati aveva un rischio superiore del 39% di sviluppare ipertensione, rispetto a chi ne assumeva meno. Il secondo è invece una metanalisi, nella quale i ricercatori della Air Force Military Medical University di Xi’an hanno analizzato studi che hanno incluso più di 325mila soggetti di entrambi i sessi. Il risultato è che i consumatori più accaniti di alimenti ultraprocessati mostrano un aumento medio del rischio di infarti, angina e ictus del 24%. Inoltre, a ogni aumento quotidiano del 10% di calorie apportate da questo tipo di prodotti corrisponde un 6% in più di infarti, mentre per chi ne consuma di meno emerge una diminuzione degli stessi rischi del 15%.
Ciò che maggiormente preoccupa, hanno sottolineato alcuni degli esperti presenti al congresso, tra i quali Anushriya Pant, una delle autrici dello studio australiano, è che ormai gli alimenti ultraprocessati costituiscono, in media, oltre il 50% delle calorie della dieta occidentale, con punte dell’80% tra le fasce sociali più disagiate e tra i più giovani (con buona pace del ministro Lollobrigida, che evidentemente ignora tutto ciò che è stato studiato negli ultimi vent’anni sul tema).
Inoltre, accanto a prodotti facilmente riconoscibili come i piatti pronti, ve ne sono moltissimi che i consumatori non identificano come ultraprocessati, come i cereali da colazione, le barrette, alcuni yogurt, il pane industriale, alcune zuppe pronte di verdura. Inoltre, gran parte degli alimenti che vantano benefici per la salute, soprattutto quando contengono ‘meno’ di qualcosa, in realtà sono a tutti gli effetti ultraprocessati. E ciò spiega perché siano le donne le maggiori consumatrici: più attratte degli uomini da richiami salutistici.
I due studi hanno poi messo in evidenza un altro aspetto già segnalato in altri studi: i danni di questi prodotti non derivano solo dal sale, dai grassi e dagli zuccheri. Effettuando le correzioni in base al contenuto di queste categorie di nutrienti, resta un eccesso di rischio ancora tutto da spiegare, probabilmente da attribuire al mix di additivi e conservanti, e all’effetto accumulo tra varie molecole che si ha mangiando questi prodotti tutti i giorni. C’è quindi ancora moltissimo da indagare, anche data la difficoltà di questo genere di studi.
Il Guardian, che ha pubblicato un reportage dal congresso, ha intervistato anche Chris van Tulleken, autore di un best seller internazionale dal titolo eloquente: “Ultra-Processed People: Why Do We All Eat Stuff That Isn’t Food … and Why Can’t We Stop?” (Persone ultraprocessate: perché mangiamo cose che non sono cibo… e perché non riusciamo a smettere?), in cui sottolinea l’inganno costante nel quale sono attratti i consumatori: “Ci sono un sacco di prodotti ultraprocessati biologici, ruspanti, etici, che possono essere venduti come salutari, nutrienti, sostenibili o utili per perdere peso. Ma praticamente ogni alimento o bevanda con un claim salutistico sulla confezione è un ultraprocessato (…). Oggi ci sono evidenze significative che questi cibi infiammano l’intestino, interferiscono con la regolazione dell’appetito, alterano i livelli ormonali e causano una miriade di altri effetti, che con tutta probabilità aumentano il rischio cardiovascolare e di altre malattie allo stesso modo del fumo”.
Per questo l’esperto ritiene necessario aggiungere box neri come quelli introdotti in Cile e Messico e prendere provvedimenti come il divieto di pubblicità, soprattutto di quelle rivolte ai più piccoli. Dello stesso tenore sono stati altri interventi: la comunità dei cardiologi sembra avere pochi dubbi sulla necessità urgente di prendere provvedimenti immediati e incisivi, per tentare di arginare la diffusione degli alimenti ultraprocessati.
Questa lettura può essere completata con questo articolo : consumare troppo cibo confezionato aumenta il rischio di contrarre il cancro.
E le grandi marche , ogni giorno, inventano nuovi modi per condizionare – nella maggioranza dei casi negativamente – il modo in cui mangiamo.
Lo fanno non solo lanciando prodotti malsani ma anche esercitando un forte lobbismo: la posizione di Ferrero sull’etichettatura del cibo, non le fa secondo me, onore.



