Milena Gabbanelli il 7 aprile 2014 ha evidenziato come il caffè bevuto in Italia sia scadente e spesso molto cattivo.
Siamo, purtroppo, d’accordo con lei al 100%.
Le ragioni di questa mediocrità sono tante:
il caffè, che come molti whisky è blended (miscelato con varie qualità), spesso è “tagliato” con caffè di cattiva qualità (robusta, di origine vietnamita) .
Il personale a volte non sa fare il caffè e, ovviamente, neanche manutenere le macchine.
Le aziende di torrefazione hanno politiche commerciali poco chiare, più attente al controllo dei bar che non alla qualità del caffè erogato.
Report ha evidenziato la contrapposizione tra i bar italiani a proprietà familiare, che spesso servono caffè mediocre, e l’impostazione della catena multinazionale Starbucks, che fa training ai propri dipendenti e serve un buon caffè, con una qualità costante tra uno Starbucks Coffee e un altro, dagli USA al Giappone, passando dalla Svizzera..
Quello che non ha evidenziato il programma è che
1) i prezzi del caffè- in generale – in Italia sono decisamente troppo bassi per poter differenziare la qualità esistente tra il miglior caffè e quello peggiore.
In una scala di prezzi che, generalmente, va da 0,90 centesimi a 1,10 € è difficile che si capisca che quest’ultimo è magari un arabica in purezza (come quello Esselunga bio, vedi foto sopra ),
Inoltre, con un prezzo così basso, è anche difficile poter investire sulla formazione del personale :
non ci sono soldi ne tempo, ovviamente, per spiegare al barista come gestire la macchina e servire bene un caffè, attività che dovrebbe comprendere spiegazioni sul tipo di caffè servito perchè, come ha fatto vedere molto bene la Gabbanelli, gli italiani – in generale – non distinguono il caffè scadente, tagliato con robusta vietnamita, dal caffè 100% arabica, di qualità superiore.
2) in Italia il sommerso scoraggerebbe chiunque volesse entrare sul mercato,
perchè il NERO (e non parliamo solo del lavoro…) fa si che ci siano due circuiti :
uno legale (molto ristretto) e un’altro illegale (vastissimo) che fa una concorrenza sleale al primo.
Se fossi Starbucks non entrerei su questo mercato per queste ragioni alla quale se ne aggiunge una molto più recente:
3) il peggioramento qualitativo del caffè in alcuni luoghi che dovrebbero essere cult o il bastione del “saper fare” italiano.
Mi riferisco al Sant’Ambroeus a Milano.
Questo bar storico di Milano ha sempre avuto un caffè eccellente, della torrefazione Illy di Trieste
la nuova proprietà dello storico bar – ristorante, che non è italiana, ha pensato bene di :
abbassare pesantemente la qualità del caffè (omettiamo il nome della torrefazione del “nuovo” caffè , pur conoscendola) , mantenendo il prezzo dell’ espresso a 5 €!
Queste sono le cose, e mi riferisco soprattutto al punto 3 (*), che fanno del male al Made in Italy, inteso come l’arte di trasformare al meglio materie prime importate dall’estero (il caffè proviene al 100% da paesi extra- UE).
Si tratta di pratiche assolutamente legali (abbassare la qualità del prodotto mantenendo lo stesso prezzo) ma, secondo noi, poco corrette, vedi in proposito “Dal trading down al downsizing” , che finiscono per farci dire che “la Gabbanelli ha ragione” …
Mentre, da italiani, vorremmo tanto che avesse torto.
(*) i punti 1) e 2) dipendono da politiche nazionali, il punto 3) dai singoli operatori.
Prima stesura del 16 aprile 2014
Sotto : un negozio Sant’Ambroeus a New York



