Prima stesura : 30 agosto 2009, aggiornato il 13 settembre 2023
Eccovi il quadro sull’evoluzione delle cosiddette sgrammature, e sul conseguente abbassamento della qualità del cibo industriale negli ultimi anni, con un accenno agli anni ’90, quando apparirono i discount e la shrinkinflation in Italia, sino ad oggi.
La situazione verrà poi, ai giorni nostri, aggravata dalla ripartenza dell’inflazione. Si tratta di una vera e propria tempesta internazionale; la shrinkinflation è – ormai – ovunque : La GD britannica seguirà quella francese sulla shrinkinflation?
L’11 marzo 2009 il Financial Times titola : “Il nuovo mantra del consumatore è la convenienza”.
Nell’articolo Luke Johnson parla di trading down – che potrebbe essere tradotto in italiano in “ripiegamento su prodotti più economici” e fotografa il recente spostamento degli acquisti del consumatore medio colpito dalla crisi, dalla qualità al prezzo.
Nei “bei tempi” passati la qualità era fondamentale mentre il prezzo era secondario, ora il rapporto si è invertito.
L’autore affronta la situazione dalla parte delle aziende e ne vede gli aspetti positivi – ad esempio il taglio di costi inutili – e quelli negativi che potrebbero consistere in un abbassamento della qualità e del servizio in generale.
Un esempio di trading down è costituito all’epoca dal lancio del caffè solubile Via di Starbuck’s che costerà decisamente meno rispetto ad un Espresso venduto, al prezzo medio di 1,75 $ (prezzo aggiornato ad agosto 2013), presso l’omonima catena di Seattle gestita da Howard Schultz.
Questo lancio ci serve a lanciare la domanda fondamentale per il settore alimentare: la qualità dei prodotti di largo consumo venduti nei supermercati può scendere?
La nostra risposta è sì, anche perchè il trading down , che è purtroppo abbastanza conosciuto da anni e vanta 7’750’000 citazioni su Google, può dar luogo indirettamente ad un fenomeno al contrario per lo più oscuro per i consumatori italiani : il downsizing (o anche shrinkinflation).
Come diceva Luigi Rubinelli, direttore responsabile della rivista Mark-up, in una puntata del mese di marzo 2009 di radio 24, esiste un “importante trend che sta attraversando il commercio e i consumi.
E’ il downsizing, cioè la riduzione nei negozi della superficie di vendita o dell’offerta ma anche la riduzione del contenuto delle confezioni …”.
Rubinelli, nella sua rubrica, afferma che “ovviamente le aziende comunicano malvolentieri questi cambiamenti, un po’ perché coinvolgono le loro strategie ma anche perché poi devono giustificarli”.
Infatti Rubinelli si occupa del caso della riduzione della superficie di un punto di vendita della catena Sainsbury’s in Gran Bretagna perché se un supermercato viene ridotto la cosa è facile da vedersi e non è moralmente discutibile ma se, invece, si riduce la grammatura di un prodotto, ad esempio passandola da 1 kg. A 750 gr. mantenendone magari il prezzo da 1 kg., pochi possono accorgersene e l’etica va a farsi benedire.
Per chi, come me, ha vissuto da buyer l’arrivo dei discount in Italia il downsizing non è un fenomeno nuovo: agli inizi degli anni ’90 parecchie aziende di largo consumo, prese dal panico dei prezzi di questi nuovi arrivati, ridussero i litri/kg./pezzi delle loro confezioni.
Alcune ne abbassarono il prezzo, riposizionando i loro prodotti sul mercato, altre se ne guardarono bene, lasciando alla GD il confronto sui prezzi al pubblico con i discount.
Ricordo perfettamente il caso della carta igienica Scottex, che riduceva gli strappi, mantenendo il prezzo al pubblico invariato
Oggi il fenomeno è alimentato dalla crisi che favorisce di nuovo questo canale che, dagli inizi degli anni ’90, ha visto l’apertura in Italia di 3’800 negozi, che coprono l’8,6% del mercato per un valore di 9 miliardi di € (fonte : Nielsen 2008). Il movimento è stato anche causato dal forte incremento delle materie prime nella prima metà del 2008.
Purtroppo il fenomeno del downsizing è quasi invisibile: a parte Rubinelli, lo hanno denunciato solo Il Sole 24 ore ed il Corriere, in due pezzi pubblicati a fine agosto 2008.
Il Sole è stato decisamente più aggressivo con il titolo “Dal taglio del dipendente al taglio dell’ingrediente” e affermando che “i colossi mondiali del settore alimentare sono giunti alla soluzione finale: diminuire o eliminare del tutto gli ingredienti più costosi, sostituendoli con sostanze più convenienti.”
Il quotidiano si spinge anche più in là, citando alcune aziende tra le quali Mc Donald’s e Heinz, le uniche conosciute dagli italiani.
Il Corriere si limita a citare il Wall Street Journal che avrebbe coniato la frase “smaller box, similar price” (scatole più piccole, prezzi uguali), riferendosi a ”diverse aziende di gelati, cereali, piuttosto che maionese e formaggio (che) hanno ridotto le scatole e alleggerito i contenuti. Con i prezzi, a discapito dei consumatori, rimasti uguali”.
Su Internet, alle voci downsizing food, vari blog soprattutto statunitensi, anche di testate giornalistiche, denunciano il fenomeno, citando prodotti ed aziende. La differenza, rispetto all’Italia, è che il dibattito è pubblico: i blog tirano in ballo Kraft, Nestlè o la Kellogg’s che si difendono con argomenti vari, più o meno convincenti.
P.S.: I prezzi di alcune commodities alimentari hanno ricominciato a salire e il problema del downsizing riaffiorerà sicuramente nel futuro.
Emblematico, oltre alle tensioni su olii e soia, il caso del prezzo dello zucchero che sta subendo una vera e propria esplosione a causa di cambi di coltivazioni in India (dallo zucchero al riso) e dalla richiesta globale in aumento di anno in anno.
A tal proposito vedasi :
1) Il Sole 24 ore, 12 agosto 2009
“Tensione sulle materie prime. Se l’India non mette più lo zucchero…
Il consumo di zucchero nel mondo continua a salire…
… per confezionare cibi in lattina, ad esempio, nel 2008 si è utilizzato quasi il 25% di zucchero in più dell’anno precedente. Quasi altrettanta è stata la crescita per quello usato nei biscotti, mentre per le bibite gassate il consumo di zucchero è aumentato di circa il 15%”
2) Il Sole 24 ore, 15 agosto 2009
“Zucchero da record… i futures innescano il caro colazione”

I problemi del comparto produttivo, in generale, sono sintetizzati molto bene da Angelo Colussi (*) , che in un’intervista su Il Sole 24 ore del 29 agosto 2009 dice:
“C’è il rischio di rimanere schiacciati nella morsa tra i fornitori di materie prime, quasi tutte multinazionali molto agguerrite, e i gruppi della grande distribuzione organizzata …
Siccome le principali catene commerciali rappresentano l’80% della distribuzione… per una piccola impresa diventa quasi impossibile scaricare a valle l’incremento dei costi…”
E così le aziende si trovano davanti a scelte spiacevoli: abbassare i costi (manodopera, pubblicità ma anche fondi per ricerca e innovazione) o, a volte, abbassare la qualità dei prodotti o addirittura vendere o chiudere.
Il marchio Agnesi era del gruppo Danone che l’ha venduto a Colussi.
(*) titolare dell’omonimo gruppo – marchi Colussi, Agnesi, Maltagliati, Audisio, Flora e Sapori – con un fatturato pari a 480 mio. nel 2008.

19 gennaio 2015
” La sgrammatura e la qualità. …
Negli ultimi anni abbiamo assistito a un lungo processo di rifacimento del pack dei prodotti, sia dell’IDM (industria di marca) sia delle MDD (marca del distributore) . Il pack è cambiato, molte volte in meglio, ma molte volte il prodotto è stato sgrammato e il prezzo è rimasto inalterato….”.
Luigi Rubinelli, Retailwatch
Per un interessante aggiornamento del 2022 leggi : Giorgio Santambrogio : Ferrero, Barilla e Fage (yogurt) sgrammano.
Il quadro è aggravato dall’attuale situazione delle materie prime e dall’immobilismo della politica italiana che non ha colto l’occasione del Covid-19, con l’inflazione susseguente, per intervenire.
Da notare che quando iniziammo, più di 14 anni fà, a scrivere di downisizing c’era un gran timore a farlo.
Oggi non più.
Sotto :
1) un caso segnalato su LinkedIN nel 2020 a proposito di Rovagnati.

2) un post di Intermarchè contro Findus a settembre 2023 nel quale il distributore accusa il produttore di aver diminuito il peso delle patate del 10% ed averne aumentato il prezzo del 68%!

3) un post di Mario Gasbarrino, del settembre 2023.
Ne condivido il contenuto : i clienti non sono stupidi.
Ma il problema che in questo momento, con l’inflazione che scende molto lentamente e l’industria che continua a sgrammare, diventa molto difficile difendersi.

4) un post del 2023 sull sgrammature di Barilla che sta facendo della shrinkinflation praticamente una nuovo strumento di marketing ,

5) Questo articolo che spiega che la shrinkinflation, in Francia, è iniziata nel 2007 e che le scelte attuali di Carrefour siano “ipocrite” perchè il distributore sapeva da anni ed ha subito e accettato le sgrammature, facendone a sua volta con i suoi prodotti a marchio privato nel 2019.
Sotto l’attuale campagna di Carrefour che accusa Lay’s (Pepsico) dove il distributore si impegna a “rinegoziare il prezzo di questo prodotto”.



