Pubblicato il 6 giugno, aggiornato il 16 giugno 2023
Il grano canadese viene usato per produrre pasta
MATERIE PRIME
Boom dell’import di grano canadese. Scatta l’allarme per il glifosato
In soli due mesi quasi 300 mila tonnellate arrivate in Italia dal Nord America, dove l’uso libero dell’erbicida fa temere per le conseguenze sulla catena alimentare e sulla salute
Raffaele Lorusso
Crescono le importazioni di grano canadese in Italia. Secondo gli ultimi dati Istat elaborati dal Centro Studi Divulga, nei primi due mesi di quest’anno le importazioni di frumento duro dal Canada sono cresciute del 747 per cento rispetto allo stesso periodo del 2022. Si è passati da 33 mila tonnellate a più di 286 mila tonnellate. Gli arrivi di grano duro provenienti dal Canada nei soli primi due mesi di quest’anno hanno raggiunto il 47 per cento del complessivo importato durante tutto il 2022. Una crescita esponenziale accompagnata da timori per la salute, visto che buona parte del grano canadese, circa il 70 per cento, è trattato con glifosato in preraccolta. L’uso di questo erbicida fa sì che le piante e i semi assorbano la sostanza che, di conseguenza, rischia di rimanere nel grano o nelle altre produzioni anche dopo la raccolta. Secondo un recente studio condotto sui residui di glifosato, su un campione di 8mila prodotti a base di cereali, legumi, frutta e ortaggi venduti in Canada, il 42 per cento conteneva residui rilevabili di questa sostanza.
Ce n’è abbastanza per mettere in allarme esperti e studiosi in tutto il mondo. In Italia il Centro studi Divulga ha messo a punto il rapporto “Glifosato: fatti, numeri e vicende legali dell’erbicida che ha conquistato il mondo danneggiando salute e ambiente”. L’uso è aumentato drasticamente negli anni 90 con l’introduzione degli Ogm modificati. Oggi il glifosato è l’erbicida più utilizzato nel mondo. Le stime disponibili sulla produzione mondiale indicano fino a un milione di tonnellate. In valore, il mercato ha sfiorato nel 2020 i 9 miliardi di euro. Si calcola per il prossimo decennio una crescita del 6 per cento annuo. Un incremento che potrebbe traghettare il mercato verso i 16 miliardi di euro nel 2031. In Europa, il 20 per cento delle vendite è appannaggio della Francia, che ha mantenuto il livello dei consumi della molecola pressoché costanti nel periodo 2013-2017, con circa 9,3 mila tonnellate. A seguire Polonia e Germania, con quote rispettivamente del 14 per cento e del 10 per cento delle vendite europee. Ungheria, Austria, Polonia e Spagna i Paesi con la crescita maggiore delle vendite. Soprattutto l’Ungheria, fra il 2013 e il2017, ha fatto registrare una crescita dell’86 per cento in termini quantitativi. L’Italia, che nel 2013 utilizzava circa 4.500 tonnellate di erbicidi a base di glifosato, nel 2017 aveva ridotto il suo consumo a poco meno di 4.300 tonnellate.
Alcuni studi riportano una correlazione, non ancora isolata come strettamente causale, tra l’esposizione al glifosato e la comparsa del linfoma non-Hodgkin. Si parla di un aumento della probabilità di sviluppo del linfoma del 41 per cento. Per questa ragione, l’Italia è fra i Paesi europei che, già nel 2016, ha introdotto norme molto restrittive, consentendo l’uso di glifosato soltanto come erbicida e vietandolo nella fase di preraccolta e nella cura del verde pubblico.
«I dubbi sugli impatti del glifosato sulla salute sono cresciuti negli ultimi anni anche grazie a studi indipendenti », spiega il professor Felice Adinolfi, direttore del Centro Studi Divulga e docente di Economia e politica agroalimentare all’Università di Bologna. «Servono regole comuni a livello globale e, soprattutto, è necessario accelerare con la sperimentazione di prodotti alternativi sostenibili, come l’acido pelargonico», è l’auspicio di Adinolfi Le tracce nell’ambiente sono ancora elevate. Un recente studio dell’Università di Milano e dell’Istituto di ricerca sulle acque ha rilevato una concentrazione superiore al livello minimo 0,1 microgrammo per litro stabilito dalla legge. L’allarme riguarda le acque della Lombardia più vicine alle zone agricole. Alcune aziende hanno dovuto rinunciare a vendere i propri prodotti a causa dei livelli anomali di pesticidi presenti nelle acque usate per irrigare i campi.
Per effetto della facilità di diffusione nell’aria, della permanenza nel terreno e nelle colture e della presenza nelle acque superficiali il glifosato entra direttamente e indirettamente nella catena alimentare. I ricercatori hanno dimostrato che l’erbicida è in grado di penetrare e di persistere nel terreno. Il rischio, in questo caso, è di una riduzione dell’assorbimento di micronutrienti, di un aumento della vulnerabilità alle malattie, con conseguente diminuzione della resa dei raccolti.
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p.s.: a voler fare un pò di “complottismo” Felice Adinolfi è molto vicino a Coldiretti che promuove il grano italiano che da però un dato interessante : l’import dal Canada cresciuto di ben 9 volte nel 2023 mentre sugli scaffali il costo della pasta per le famiglie è salito del +14%. E’ quanto denuncia la Coldiretti.



