Con tutti i problemi reali delle confezioni e delle etichette dei prodotti alimentari in Italia e in Europa questa sembra proprio un’occasione persa per esporli.
Per approfondimenti leggi : ” Gli italiani lo fanno meglio? La questione dell’origine nei nostri prodotti più diffusi” o Perchè ci vuole l’etichettatura d’origine del cibo. Del miele. Ma anche del pomodoro, dell’olio, del latte o del vino.
D’altronde Marco Cuppini deve “vendere” i nuovi sistemi di etichettatura intelligente. E non può dire che molto spesso l’etichettatura attuale non garantisce il consumatore da truffe (prodotti non italiani o non sostenibili).
L’Economia
ETICHETTE LA SPESA È PIÙ GREEN E MADE IN ITALY
di Giulia Cimpanelli
Sostenibilità e «italianità»: sono queste le informazioni che i consumatori apprezzano maggiormente sulle etichette dei prodotti. A rivelarlo, in anteprima su L ‘Economia, è la decima edizione dell’«Osservatorio Immagino di GS1 Italy», che ogni sei mesi restituisce una fotografia del carrello della spesa degli italiani, incrociando i dati di vendita Nielsen con le informazioni riportate sulle etichette dei prodotti nelle categorie alimentari, cura della casa e della persona e petfood).
«Circa 30 mila dei 125 mila prodotti analizzati riportano in etichetta un claim o un’informazione relativa alla sostenibilità — commenta Marco Cuppini, Research and communication director di GS1 Italy —. Abbiamo riscontrato che le vendite di questi prodotti sono in aumento del 3,2% rispetto all’anno scorso». Il Barometro sostenibilità, dedicato all’analisi dei prodotti che riportano sulla confezione almeno un claim o una certificazione green, dimostra che questi crescono in numero e in fatturato (11,5 miliardi di euro a giugno 2021), così come quelli che forniscono informazioni sulla riciclabilità del packaging. «Il modo di scegliere i prodotti ha subito una trasformazione – prosegue Cuppini —. I nostri nonni compravano in base alla disponibilità, le generazioni successive in base al marchio, oggi si sceglie in base alle informazioni, all’origine della materia prima, come la pasta con 100% di grano italiano. Diventa fattore di scelta anche la confezione in plastica riciclabile o compostabile».
I beni che mettono in luce la loro italianità hanno invece raggiunto un fatturato di 8,7 miliardi di euro, +1,8% rispetto ai dodici mesi precedenti. Va molto bene il Docg, con gli 877 vini a Denominazione di origine controllata e garantita che hanno visto aumentare del 17,1% il giro d’affari, oltre i 273 milioni di euro. Importante per i consumatori anche l’indicazione di «regionalità». Quella con il maggior giro d’affari resta il Trentino-Alto Adige, davanti a Sicilia e Piemonte.
Da «senza» a «ricco in…»
Vengono considerate meno importanti informazioni molto gettonate in passato, come «senza conservanti» o «senza coloranti», che i consumatori danno per scontate. Alla ribalta, invece, ci sono concetti come «free from» e «ricco in»: si conferma la tendenza di ridurre gli zuccheri e puntare sulle proteine. Tra i free from si affermano i claim «senza antibiotici» (+18% delle vendite) e «non fritto» (+16,5%); mentre tra i «ricco in» emergono magnesio, potassio e zinco. Anche nei prodotti per la cura della persona regna il salutismo con vendite positive per quelli segnalati senza coloranti o conservanti e/o con ingredienti di origine naturale.
Sono ancora rare le etichette «intelligenti», che saranno lo standard nel prossimo futuro: «Non si punterà più sul qr code ma su un codice unico come il databar, che può contenere, oltre al codice prodotto, anche lotto e data di scadenza. Un’esperienza interessante è stata fatta da una delle maggiori catene di ipermercati che, con i Databar, in automatico ha legato promozioni alla data di scadenza. L’ipermercato ha informato i consumatori con un effetto positivo: non andavano più a scavare negli scaffali per trovare la data di scadenza più lunga, ma sceglievano i prodotti in scadenza per beneficiare delle offerte», spiega Cuppini.
Ma la rivoluzione che GS1 prevede si chiama digital link: un indirizzo web codificato contenente all’interno il codice a barre, più una serie di informazioni utili. Collegato a un codice rR stampato sul pack del prodotto, consente al consumatore che lo inquadra di accedere al sito del produttore e a una serie di informazioni sul prodotto, dall’origine agli ingredienti, ma permette anche la tracciabilità del lotto di produzione o di mettere il prodotto nel carrello della spesa, in caso di ecommerce.
Dove sta la differenza con la quantità di qr code stampati sulle confezioni attuali dei prodotti? «Il qr code serve per accedere al sito dell’azienda, ma è destrutturato e di difficile manutenzione — conclude Cuppini – l’esempio è il caso del vasetto di marmellata con il codice qr che punta a un altro prodotto, perché nel frattempo è intervenuta qualche variazione sul sito. Digital Link, inoltre, fa anche da codice a barre, senza bisogno di avere codici diversi su una stessa confezione».



