
Fuga sulle Alpi: così l’effetto serra costringerà i nostri figli a migrare
di Luca Zanini , Corriere della Sera
Preparate le valigie. Si va in montagna. Per le vacanze estive? Macché, per i prossimi cent’anni, e forse più. Se i meteorologi sono d’accordo nel prevedere che ondate di calore come quella «africana» che sta investendo l’Italia in questi giorni — con punte di 39 gradi previste a Firenze — si ripeteranno con più frequenza, i climatologi guardano oltre. E avvertono: entro il 2050, 143 milioni di persone diverranno «profughi climatici». Lo segnala anche un rapporto della Banca Mondiale. Chi pensa che questo cambiamento epocale riguarderà soltanto regioni come l’Africa Subsahariana, l’Asia del Sud e l’America Latina, sbaglia. I mutamenti del clima che si prospettano indurranno gran parte della popolazione di città e pianure a cercare, anche in Italia, entro fine secolo, sistemazioni più salubri in alta quota. Lo dicono gli studi sul surriscaldamento globale. Pochi mesi fa, a margine di un convegno scientifico dell’Agenzia regionale per l’ambiente (Arpa) del Friuli Venezia Giulia, si è parlato di «possibili migrazioni interne verso le Alpi» già prima del 2050. Colpa del clima, che diverrà insopportabile per l’uomo. E dell’innalzamento progressivo dei livelli dei mari — o di fenomeni di erosione del litorale, come quello che ad Albenga ha imposto la cancellazione di un concerto di Jovanotti —, che anche nel Mediterraneo potrebbero avere effetti devastanti sulle zone costiere.

C’è già chi compra terreni in quota
Fuga sulle Alpi, dunque. Ad esser colpite dalle radicali modifiche dell’ambiente saranno tutte le attività umane, a cominciare dall’agricoltura. In Friuli Venezia Giulia, per esempio, già si registra un forte aumento della salinità dei terreni nelle pianure vicine all’Adriatico. Con l’andare del tempo, molte colture tipiche dovranno essere trasferite in collina, e poi forse in montagna. Nel vicino Veneto e in Trentino è iniziata la corsa ai terreni alpini per spostare i vigneti più in alto: in pianura fa già troppo caldo. E in Alto Adige si prevede che a fine secolo non ci sarà più neve sotto quota 1500 metri. Nelle terre del Prosecco, le vigne alle quote più basse non godono più degli effetti benefici dell’inversione termica: senza il freddo di notte, il vino non è più lo stesso.

Le vigne a mille metri e i migranti climatici
«Le piante stanno già spostandosi a quote più alte — spiega Andrea Cicogna, dell’osservatorio meteorologico di Arpa FVG —, in Friuli Venezia Giulia abbiamo studiato come potrebbe modificarsi il paesaggio: le colture di vite e mais e le zone del castagno traslocheranno e la nostra pianura, entro il 2100, potrebbe somigliare a un paesaggio pugliese. Carrubi e fichi d’India. Le vigne andrebbero spostate tra i 700 e i mille metri e potremmo avere delle Doc Carnia e Canal del Ferro». Ed è certo che se in Padania si andrà verso una media di 38 gradi sarà inevitabile avere migrazioni anche prima del 2050. Eccoli i migranti italiani del climate change. Rispetto a quanto l’Onu prevede accadrà per i profughi climatici di 4 grandi aree del mondo, l’esodo degli italiani verso le montagne sarà più progressivo, ma ci sarà. Lo conferma anche un dossier che la Alp Convention (la convenzione tra i Paesi delle 28 regioni alpine) realizzò nel 2015. Uno scenario possibile, ribadisce il fisico e climatologo Filippo Giorgi, per sei anni vicedirettore del Gruppo di lavoro I sul clima dell’Ipcc, il panel delle Nazioni Unite sul climate change che nel 2007 vinse, ex aequo con l’ex vicepresidente Usa Al Gore, il Nobel per la pace.
Temperature medie più alte tra 2 e 5-6 gradi
«Ripopolamento delle Alpi ? Difficile affermarlo con sicurezza, ma diciamo che, in un futuro contesto di zone costiere molto degradate, la gente da qualche parte dovrà pur andare. E le zone montane sono quelle che in futuro potranno risultare più vivibili», sottolinea lo studioso, autore del libro L’uomo e la farfalla, sottotitolo: «Sei domande su cui riflettere per capire i cambiamenti climatici» (Franco Angeli editore). L’Ipcc ha delineato quattro principali scenari futuri: uno ottimista, che prevede un consistente taglio entro pochi anni delle emissioni responsabili dei gas serra (quanto richiesto dall’accordo di Parigi); due intermedi; e uno più estremo, nel caso non venissero applicate in tutto il mondo le misure per tagliare la CO2 (il cosiddetto «business as usual»). In quest’ultimo caso, le temperature globali potrebbero crescere ancora di 4-5 gradi entro il 2100. A seconda di quel che accadrà, ci troveremo a vivere — anche in Italia — in una situazione climatica con temperature medie aumentate dai 2 ai 5-6 gradi.
«Vivibilità» impossibile con il caldo prolungato
Che cosa significherà lo spiega Filippo Giorgi: «Posto che il problema principale sarà delle città costiere, a causa dell’innalzamento dei livelli del mare, il punto critico per le città sarà la cosiddetta vivibilità. Il corpo umano non riesce a raffreddarsi adeguatamente, e quindi s funzionare, se viene esposto per periodi prolungati a certe temperature — come 25 gradi stabili di notte e 35 di giorno, con umidità intorno al 90% — e nello scenario estremo le zone di clima a scarsa vivibilità (oggi tipico di alcune aree del Medioriente e dell’Asia) si amplierebbero sempre più. L’emigrazione interna sarebbe poi alimentata da una nuova situazione socio economica, in cui le attività produttive verrebbero trasferite in aree più salubri».

In meno di cent’anni Roma e Milano come Suez
Un dossier dell’associazione Climate Central, realizzato in collaborazione con la Wto (l’agenzia meteorologica delle Nazioni Unite), sottolinea che senza veri tagli alle emissioni, a fine secolo anche le nostre città diventeranno inferni: le temperature medie estive di Roma e Milano potrebbero passare rispettivamente dagli attuali 27 e 25,2 gradi a 32,6 gradi. Medie oggi tipiche del Canale di Suez. «Secondo uno studio che stiamo conducendo, se non si applica l’accordo Cop21 di Parigi e si procede nello scenario business as usual — avverte Giorgi — città come Roma e Napoli e il resto del Centrosud avranno un clima simile a quello del Nordafrica entro la fine del secolo. Non parliamo poi di Palermo, o di Madrid, che finirebbe in area desertica. Discutere di 4/5 gradi di riscaldamento a livello globale è una cosa enorme. Tanto più che i modelli previsionali climatici dicono che l’area del Mediterraneo sarà particolarmente sensibile all’effetto serra e che ci possiamo aspettare anche 6/7 gradi in più durante il periodo estivo. E il tutto in meno di 100 anni: che sono pochissimi in termini geologici». I cicli naturali si misurano su decine di migliaia, o centinaia di migliaia di anni. «Pensate che una differenza di 5/6 gradi (ndr. in meno in questo caso) caratterizzò l’ultima era glaciale circa ventimila anni fa». Per tornare in Italia, Torino potrebbe avere, secondo i climatologi, una media estiva più alta di 7 gradi, passando dagli odierni 20,3 ai 27,5 nel 2100. La temperatura, per intenderci, che oggi si misura a Valencia, in Spagna.
Un pianeta diverso per i nostri nipoti
«Il mio mandato nel board del panel Onu è scaduto, ma con le mie ricerche collaboro al prossimo rapporto dell’Ipcc che uscirà nel 2021 — precisa Filippo Giorgi —. Dovete pensare che 4/5 gradi di riscaldamento globale cambierebbero le circolazioni oceaniche e atmosferiche: quello che vivremmo, o meglio che i nostri figli e nipoti vivrebbero, sarebbe un pianeta diverso. Avete presente il film The day after tomorrow? Pensate a scenari come quelli, ma con il caldo invece del freddo». Con i cambiamenti climatici in vista nell’Artico, «si potrebbe bloccare la circolazione delle correnti oceaniche. Nel film di fantascienza accadeva in tre settimane. Alcuni modelli dicono che potrebbe succedere davvero. E nel giro di 150-200 anni». Con le calotte polari che si sciolgono e il mare che sommerge intere città, «in Italia i veneziani scapperebbero verso le Alpi. E non solo loro. Un metro in più di Adriatico (o Tirreno) significherebbe cambiamenti epocali». C’è chi teme scenari catastrofici tra 50-80 anni.
Venezia, Taranto, Cagliari con 97 centimetri di mare in più
Un lavoro di Fabrizio Antonioli, ricercatore dell’Enea, sostiene che in ben 4 aree della nostra penisola l’innalzamento del livello del mare sarà preoccupante: tra Nord Adriatico, golfo di Taranto, golfo di Oristano e Cagliari, avremo aumenti da un minimo di 53 centimetri a un massimo di 97 centimetri. Entro il 2100. Parliamo di un arco di tempo che interesserà i figli dei nostri figli. Ma prima che cosa accadrà?
«Cominciamo con il dire che se aspettiamo un secolo intero sarà troppo tardi — avverte il professor Giorgi —. L’urgenza dell’intervenire sui gas serra è dovuta al fatto che questi gas permangono in atmosfera per decine di anni, e quindi quello che facciamo oggi avrà effetti per le prossime generazioni. E comunque sì: se non ridurremo le emissioni globali le ipotesi di un metro in più di mare sono perfino, per alcuni studi, prudenti. Perché se si confermassero i ritmi con cui, allo stato attuale, i ghiacci della Groenlandia si vanno sciogliendo (un problema, sembra, legato anche all’inquinamento che sporca il ghiaccio e ne diminuisce l’effetto riflettente della luce solare), in qualche centinaio d’anni potremmo avere anche 7 metri di innalzamento dei livelli di oceani e mari». Una prospettiva apocalittica.
I «nuovi montanari»: un’invasione da arginare
Tutti verso Alpi e Appennini, allora? Non è così semplice. La Alp Convention ha scritto, in un recente studio sulle migrazioni in quota che l’inversione di tendenza registrata negli ultimi 15 anni rispetto a mezzo secolo di spopolamento ha già portato centinaia di migliaia di persone a spostarsi sulle montagne: le regioni alpine sono già più popolate grazie a immigrati “stranieri” in cerca di «qualità di vita migliori». I mutamenti demografici, in uno spazio dove da secoli l’integrazione tra uomo e ambiente influenza paesaggio e cultura, impongono politiche adeguate per i “nuovi montanari” sempre più diffusi. E i territori alpini «non possono e non devono farsi trovare impreparati» perché il rischio è di «un’invasione assolutamente non sostenibile» avverte il climatologo Luca Mercalli, che andrà «arginata è studiata in anticipo».
Meno acqua ed ecosistemi più fragili
Ma davvero i nostri figli potrebbero essere protagonisti di una fuga verso le vette? «Occorre considerare che — chiarisce il professor Giorgi — andare a vivere sulle Alpi non sarà la soluzione ideale. Perché nei territori alpini si riscontreranno altri problemi legati ai cambiamenti climatici, come l’aumento di eventi meteorologici estremi e distruttivi. Eppoi si tratta di ecosistemi più fragili, non pronti ad affrontare l’impatto di milioni di persone». Non bastasse, i nuovi montanari saranno chiamati a gestire il problema delle risorse idriche in diminuzione: «Tutti i ghiacciai alpini sono in questo momento in fase di recessione — spiega Giorgi, che dal ‘98 dirige il dipartimento di Fisica della Terra dell’International Centre for Theoretical Physics di Trieste — e con i ghiacciai scompare un serbatoio che oggi, a livello globale, garantisce il 65% dell’acqua potabile».

Jovanotti, l’erosione e il rischio «acque alte»
In montagna serviranno perciò «infrastrutture e mobilità sostenibili, e regole ferree per evitare che anche l’ambiente alpino subisca sconquassi». Dovremo preservare la nostra nuova casa. E che la prossima casa degli italiani saranno le Alpi e gli Appennini, o quantomeno le fasce collinari e pedemontane, lo dicono anche gli studi sull’innalzamento del livello del mare su scala globale. «Eppure gli italiani sembrano restare inconsapevoli del rischio», nota con sconcerto Filippo Giorgi. Un sondaggio di Arpa FVG rivela che, sebbene il 91% dei friulani consideri già “preoccupanti” i cambiamenti climatici, solo il 18% si allarma per il previsto innalzamento del livello del mare; mentre il 75% teme soprattutto il moltiplicarsi di eventi estremi. Per capire la portata del fenomeno acque alte, va ricordato che in Europa circa 86 milioni di persone vivono entro 10 chilometri dalla costa. In Italia, anche a causa della forte urbanizzazione delle aree costiere negli Anni ‘60, il 70% della popolazione potrebbe essere interessata dall’allagamento o l’erosione delle terre vicine al mare, che in taluni casi arriverebbe fino a 30 chilometri dalle coste. Quei 10 metri di spiaggia spariti ad Albenga, che hanno provocato la cancellazione della tappa del 27 luglio del Jova Beach Party di Jovanotti, sono un’inezia a confronto. «Il tema degli eventi estremi è un altro dei motivi per cui la migrazione verso le Alpi potrebbe non essere la salvezza», evidenzia Filippo Giorgi.
Eventi meteo estremi: 13 milioni di alberi sradicati
Precipitazioni fuori scala alternate a siccità periodiche, ondate di calore, alluvioni, trombe d’aria, tempeste in Padania, si susseguono già oggi. E in futuro non andrà meglio spostandosi in montagna: «Si corre il rischio di andare a finire in zone dove i venti e il maltempo potrebbero essere ancora peggiori, come è accaduto con la tempesta che a ottobre ha abbattuto o sradicato 13 milioni di alberi tra Veneto e Trentino». Gli sbalzi delle temperature medie stagionali aumentano con la scomparsa dei ghiacciai, che diminuisce l’effetto riflettente: «Nelle zone montane il riscaldamento è maggiore che nelle pianure a causa della minore copertura nevosa — conferma Giorgi —. Se a livello globale l’aumento attuale è di un grado, nelle Alpi è di 1,5. Quasi come nell’Artico. Gli ecosistemi montani saranno molto stressati. Non sarà un ambiente ben messo per accogliere i nuovi migranti climatici, che magari dovranno dirigersi altrove».
Sprechiamo il 60% dell’energia elettrica
L’aumento globale delle temperature avverrà in maniera abbastanza graduale. Già in 2050/2070 «ci saranno mutamenti che imporranno di cambiare la nostra vita». Per questo fin da oggi dovremmo adeguarci adottando subito misure drastiche contro il surriscaldamento globale. La ricetta c’è, «non è troppo tardi», conforta Giorgi: «Possiamo gestire l’inevitabile ed evitare l’ingestibile. Con una serie di comportamenti virtuosi che — al di là delle politiche governative — vanno dalla maggiore efficienza energetica alla produzione di energie da fonti rinnovabili, che deve aumentare». Un altro obiettivo da centrare è la lotta allo spreco: nei sistemi di gestione attuali si arrivano a contare perdite di energia che toccano il 60 per cento di quella prodotta. Servirebbero poi nuclei di accumulatori in grado di immagazzinare l’energia pulita prodotta in eccesso.
«Volate meno. E non per far shopping a Londra»
«Qualche esempio concreto di comportamenti privati virtuosi? I consigli sono i soliti: termostati nelle palazzine con riscaldamento centralizzato; chi può, dovrebbe passare alle auto elettriche o ibride; dovremmo volare di meno perché aerei e navi sono i mezzi che per unità di veicolo emettono più CO2. Insomma, viaggiare per necessità va bene, ma non andate a fare shopping a Londra o New York nel weekend, a Roma o Milano esistono forse i migliori negozi di avanguardia al mondo. Non serve un premio Nobel per dirlo: sono cose di buon senso. Eppoi parlare di trivellare l’Adriatico… oggi come oggi è una follia assurda».
Anche a tavola dovremmo cambiare: «Sarebbe bene mangiare meno carne, farebbe bene all’ambiente. Un chilo di manzo richiede dai 15 ai 20 mila litri d’acqua. Attenti a non buttare neppure mezza fettina». E «invece di pensare a quando i nostri figli dovrebbero iniziare ad emigrare verso regioni più fredde» è necessario «accelerare il processo di sostituzione del carbone e dei combustibili fossili». Per stare nei termini dell’accordo sul clima Cop21 di Parigi, le emissioni globali «dovrebbero non aumentare più entro il 2020 — ribadisce Giorgi — e diminuire di circa l’80 per cento entro il 2050».
Sui danni causati all’estremizzazione del clima leggi questo articolo.
Leggi anche : Siccità sempre più implacabile sulle montagne del Nord Italia
Sotto una foto delle Alpi comasche : mai così poca neve dal 2007.



