Redatto il 14 marzo, aggiornato il 24 marzo 2022
Premessa
l’articolo di AF , sotto, oltre ad avere un titolo troppo “forte”, necessita secondo me una spiegazione in più : gli allevamenti sono in crisi estrema .
(Leggi anche GRANAROLO, GLI ALLEVATORI DELLA FILIERA LANCIANO L’ALLARME SULL’INFLAZIONE).
Poi c’è il comparto produttivo alimentare: dalle patine fritte, al pane e ai biscotti.
Questo diventa più chiaro leggendo i dati riportati in questo articolo.
I problemi più gravi riguardano olio di semi di girasole, grano tenero , mais e cereali foraggeri.
Ma anche fertilizzanti.
Leggi anche : A proposito di pane, pasta, olio e mangimi.
L’Italia paga la sua totale mancanza di autosufficienza nel cibo , per gli uomini e per gli animali.
E poi c’è anche il legno : “Costa troppo”. A rischio pure la produzione di carta igienica.

L’agroalimentare
Cereali e oli di semi : in un mese le scorte potrebbero finire
ROSARIA AMATO per Affari e Finanza 14 marzo 2022
La scarsità e i prezzi delle materie prime utilizzate per gli allevamenti mettono in crisi l’industria della filiera
Prima la speculazione sulle materie prime, che nel giro di un anno hanno subito rialzi intorno al 100%, e poi il caro energia, che è andato ben oltre. E infine la guerra in Ucraina; «Questa non è una tempesta perfetta, è uno tsunami», assicura Ivano Vacondio, presidente di Federalimentare, l’organizzazione che fa capo a Confindustria.
Gli ultimi 15 giorni hanno portato allo stremo aziende già duramente provate, tanto che il ministro delle Politiche Ag1icole Stefano Patuanelli nel Consiglio dei ministri di giovedì scorso ha chiesto l’attivazione di «un regime di aiuto straordinario sul modello dell’emergenza Covid per autorizzare aiuti di Stato in deroga».
Mentre il sottosegretario Gian Marco Centinaio ha convocato al Mipaaf il tavolo su grano e cereali e ha chiesto alla Ue che almeno un milione di ettari di terreni del Fondo di rotazione tornino a essere seminati a girasole e mais per renderci meno dipendenti dai fornitori esteri. Sembra questa infatti l’unica strada per tirarci fuori da una situazione che ogni giorno si fa più allarmante, e che potrebbe portare i prezzi dei prodotti di prima necessità alle stelle, rischiando anche la penuria in alcuni settori.
Negli ultimi giorni c’è stato persino qualche episodio di accaparramento. All’Unicoop di Firenze, dove è scattato il divieto di comprare più di quattro confezioni di farina, zucchero e olio di semi. In Sardegna, in vista del blocco dei tir. Episodi isolati, finora, e non gravi. Eppure le aziende agricole e industriali della filiera guardano con preoccupazione alle difficoltà delle forniture.
Al blocco da Russia e Ucraina si è aggiunta la decisione dell’Ungheria di obbligare le imprese esportatrici a fare richiesta all’autorità competente: una sorta di diritto di prelazione dello Stato, che nel migliore dei casi rallenta l’uscita dal Paese delle merci, in attesa dell’autorizzazione. La Commissione Ue ha contestato le nuove norme, che sono in vigore fino al 15 maggio. Dopo è arrivato il blocco all’export della Serbia. Le materie prime sono sempre più contese: la Russia ha bloccato l’export di grano persino verso i Paesi dell’Unione economica euroasiatica, fino al 31 agosto.

Federalimentare calcola un’autonomia di soli 30 giorni per l’industria mangimistica e di 40 per quella molitoria.
«Sono prodotti trasversali e indispensabili alla gran parte delle filiere- spiega il presidente, Ivano Vacondio – se scarseggiano è a rischio il 70% dell’industria alimentare».
«Per i cereali stiamo già utilizzandole scorte di magazzino», conferma Daniele Erasmi, presidente di Fiesa Confesercenti. Mentre Assitol, l’associazione dell’industria olearia, calcola che entro un mese, con l’attuale andamento dei consumi, anche le scorte di oli di semi siano destinate a finire.
Gli oli di semi, il grano tenero, il mais e gli altri cereali alla base dell’alimentazione degli animali sono al primo posto tra le materie prime che scarseggiano, insieme ai fertilizzanti che sono oltre il 90% di importazione. E quindi le ripercussioni della carenza di questi prodotti e gli aumenti di prezzo di quel poco che si riesce a rastrellare sul mercato già hanno prodotto forti rincari
E altri ne produrranno: la Cia calcola che nel lungo periodo per le carni ci saranno aumenti dei prezzi finali del 20% per il pollo, del15% per il tacchino, del 20% per le bistecche, del 30% per le uova, del 15% per il prosciutto e del 20% per le carni suine.
Si possono diversificare le importazioni, ma ci sono norme europee che non sono applicate dappertutto: per esempio il mais statunitense è in gran parte Ogm. Ecco perché sarebbe meglio tornare a coltivare materie prime in Italia, progetto che è stato discusso tra il sottosegretario Centinaio e le organizzazioni degli agricoltori.
Confagricoltura chiede un allentamento dei vincoli alla produzione da parte di Bruxelles.
Coldiretti ritiene che si potrebbero coltivare nei nostri campi 75 milioni di quintali in più di mais per gli allevamenti, di grano duro per la pasta e tenero per la panificazione, ma a fronte di contratti di filiera pluriennali, che garantiscano gli agricoltori.
E garanzie chiede anche Cia: gli agricoltori temono che quando si arriverà a una risoluzione del conflitto in Ucraina i prezzi del mais e del grano italiano possano crollare, e chiedono un’assicurazione che copra la differenza con il prezzo attuale (adeguato ai costi elevati che si dovrebbero affrontare in questo momento).



