Dopo El Corte Inglès abbiamo visitato La Grande Epicerie (letteralmente la grande drogheria), divisione food di Bon Marchè, grandi magazzini appartenenti al gruppo LVMH ( gruppo Arnault).
L’approccio della catena è semplice:
si vuole coprire tutto il mondo del food , fresco e non, con reparti propri, uniformi anche nell’immagine: vedi la galleria fotografica del grande magazzino).
Anche con il marchio privato La Grande Epicerie (sotto le chips).

La Grande Epicerie ha anche intrecciato alleanze con altri grandi magazzini internazionali, come Fortnum and Mason (Gran Bretagna) e El Corte Inglès (Spagna) e propone alcuni dei prodotti di queste catene sui propri scaffali.

I grandi magazzini presenti in Italia sono piacevoli ma affittano, non gestiscono gli spazi di somministrazione del cibo (gelaterie, ristoranti, etc) ma soprattutto hanno rinunciato ad avere i propri reparti food (secco e fresco).
E’ il caso de La Rinascente (all’interno dell’articolo è al punto 3).
Ma anche di Coin , il cui obiettivo primario è sempre stato : “cerco di ottenere l’affitto migliore ,possibilmente da marchi di richiamo, nel non food (destinazione primaria) e nel food (di complemento). Punto”.
Parlo per esperienza personale, poichè ho affittato spazi in due Coin, tanto tempo fa .
Entrambe le catene danno quindi tutto il cibo da gestire a terzi (*).
Non è il caso di La Grande Epicerie, di El Corte Ingles e di Harrods, ad esempio. Almeno per la parte cibo secco – dove si trova una forte presenza di marchio privato – e dei reparti del fresco.
Secondo me è un’occasione mancata, come nel caffè, proposto- in Italia – a prezzi troppo bassi.
E nei prodotti gourmet, che in Francia valgono 5 miliardi di € di vendite.
Sopra: un prodotto de El Corte Inglès e sotto uno di Fortnum and Mason sugli scaffali della Grande Epicerie
(*) magari l’approccio è cambiato o sta per cambiare, nel qual caso spero che gli attuali proprietari vorranno scusarmi.

Per creare reparti food propri ci vogliono, però, molti soldi.
E come ha detto giustamente Andrea Goldstein (**) su Il Sole 24 ore del 7 febbraio 2020 a proposito dei ristoranti :
“prodotti e chef tricolori sono sempre più noti, ma senza capitali non ci sarà mai la vera crescita…
predomina la proprietà famigliare… che equivale spesso a gestione finanziaria oculata e indebitamento in calo, ma può significare pure la rinuncia a opportunità di crescita accelerata. Con il rischio che siano gli altri a sfruttare il momento d’oro della gastronomia italiana”
Goldstein si riferisce alla ristorazione.
Ma grandi magazzini, distributori, ristoratori, etc. dovrebbero essere un tutt’uno…
Avrebbero potuto essere gli attori di un sistema, i veri ambasciatori del Made in Italy (alimentare e non, come LVMH il cui acronimo contiene, nel mondo del lusso, sia non food – Louis Vuitton – che food – Moet et Hennessy (champagne e liquori).
(**) titolo : “Talenti (e tare) di una eccellenza italiana”
Sotto il cioccolato in polvere a marchio privato di Harrods .

Eataly è un caso a parte: pur detenendo il patron Oscar Farinetti partecipazioni i aziende di prodotti venduti sugli scaffali dei suoi punti di vendita (oltre a Fontanafredda, ci sono Antica Ardenga (salumi), Afeltra (pasta di Gragnano), Serafini e Vidotto (vino), La Granda (carne), Baladin (Birra), etc..) non ha prodotti a marchio privato con il brand della catena.
Rimane il fatto che Eataly fattura meno di 600 milioni di € , LVMH 54 miliardi (+15% sul 2019 (***)).
Eataly arranca mentre LVMH ha avuto profitti netti di 7 miliardi (+ 13%- Fonte : Le Monde 8 febbraio 2020).
Come ha detto Ferruccio De Bortoli (Corriere della Sera 10 febbraio 2020) : “il nanismo è una condanna, non una romantica ricchezza”.
Ma in un contesto che potreste considerare molto deprimente trovate, non a caso, un esempio virtuoso con le confetture a marchio privato di Marchesi ( gruppo Prada)…
(***) ovvio che food e non food andrebbero separati ma la cifra globale del fatturato LVMH da un’idea.

il marchio privato – con il brand della catena – da visibilità, riconoscibilità e, se le rotazioni sono buone, ottimi risultati economici (fatturati e margini).
Anche Eataly forse, seguendo l’esempio delle catene di grandi magazzini spagnole, francesi e britanniche, ci dovrebbe pensare.
Lo ha capito molto bene, nel suo piccolo, anche Davide Oldani.
In conclusione :
- le catene di grandi magazzini situate in Italia (Coin e Rinascente) non colgono l’opportunità della gestione dei reparti food (che non controllano).
- non hanno prodotti gourmet a marchio proprio – le rare eccezioni sono di nicchia, come Marchesi e qualche chef (potenziale : 5 miliardi di €).
- Eataly perde l’occasione forte di veicolare all’estero il proprio marchio. Nel food è, con Autogrill, l’unica catena che potrebbe attuare questo meccanismo.



