Quando penso al Made in Italy alimentare, a parte grandi aziende come Ferrero, Barilla, Mutti etc, mi vengono in mente soprattutto una rete di microimprese eccellenti, che producono il meglio soprattutto nei prodotti freschi.
Il 70% dei fornitori Esselunga nel 2003 fatturava meno di 100’000 € .
Questo è il mio riferimento. Piccoli artigiani che ci hanno “fatti grandi” nel tempo, differenziandoci da tutti i nostri rivali ( si andava dal piccolo produttore di pecorino toscano speciale, al fornitore di chianina, passando dalla mortadella “di un certo tipo” per arrivare alla pastiera presente in alcuni punti di vendita della Lombardia, le orecchiette fatte a mano, i carciofi “speciali”, il latte locale, etc.).
Ho scritto varie volte della Politica agricola comune e dei suoi effetti deleteri sull’ambiente in
Lombardia: morte nove milioni di api a causa degli insetticidi.
L’ Agricoltura è la prima causa del deterioramento degli habitat e delle specie selvatiche nella UE.
Ma mi mancava un quadro di più ampio respiro che mi ha dato l’articolo de L’Espresso che trovate sotto, nel quale si percepisce come la Pac sia un business da 390 miliardi di €, molto più grande del Recovery Fund (290 miliardi). E chi se ne importa se le piccole aziende chiudono. D’altronde in Francia si suicida un agricoltore ogni due giorni.
E forse, a questo punto, chi continua a “prendere per il collo” i piccoli fornitori qualche esame di coscienza se lo dovrebbe fare. Perchè:
- al di là dei “proclami” , di Federdistribuzione, Coop, Conad etc., sugli accordi inerenti le pratiche commerciali sleali che ho sentito recentemente e la cui applicazione mi risulta comunque bloccata a Roma, in Parlamento,
- i fatti – ad oggi – sono che la nostra agricoltura sta perdendo valore aggiunto, in modo impressionante (-4,6% in 10 anni), e con essa intere vite spese a “fare” e poi trasmettere il savoir faire di prodotti made in Italy eccellenti.
- Nell’articolo de L’Espresso – che segue – si parla di 600’000 negli ultimi dieci anni (2003- 2013) : quante se ne sono aggiunte negli ultimi sette? Se tanto mi da tanto si tratta di 1 milione di imprese agricole sparite, dal 2003 ad oggi. A dire che l’agricoltura così com’è attualmente non è sostenibile, per l’uomo e l’ambiente sono tutti i bravi, nei fatti, però..
Il mercato può però fare molto, se prende coscienza della situazione , leggi in proposito : Come i consumatori potrebbero cambiare il destino di alcuni settori: i casi Barilla, De Cecco (grano), Casino con JBS (carne) e Ferrero (nocciole).
Sotto la pagina del primo bilancio sociale (2003)di Esselunga a cui facevo riferimento sopra. Molti di questi fornitori servivano Esselunga da decenni, in esclusiva. Magari solo in qualche punto di vendita.
In copertina : terreno agricolo ad Albiate (MB).

Europa
Prima Pagina
QUESTA non è verde AGRICOLTURA (L’Espresso, 22 novembre 2020)
Sono in ballo 390 miliardi per i prossimi sette anni. Ma le lobby dei grandi proprietari vogliono continuare a imporre produzioni intensive e inquinanti. e il green deal rischia subito di fallire
FEDERICA BIANCHI
Non c’è soltanto l’opposizione di alcuni Paesi dell’Est Europa o l’emergenza Covid a mettere in forse l’impianto della rivoluzione verde presentata dalla Commissione europea come la chiave di volta del suo mandato. Ma non c’entrano le grandi aziende automobilistiche o gli inquinatori seriali. È invece l’accordo sulla nuova Politica agricola comune che Commissione, Parlamento e Consiglio dovranno negoziare e approvare nelle prossime settimane, il tallone d’Achille del Green Deal.
Nonostante le rassicurazioni delle grandi lobby agricole nazionali, Confagricoltura e Coldiretti incluse, le due proposte sulla Pac 2023-2030 varate finora dal Parlamento e dal Consiglio di ecosostenibile hanno poco.
A dirlo senza remore è stato lo stesso vice presidente della Commissione Frans Timmermans, incaricato della transizione ambientale: «Vogliono continuare con una politica agricola che non è sostenibile e che non può andare avanti così», ha detto in una recente intervista alla televisione tedesca Tagesschau, parlando delle negoziazioni tra i 27 Paesi e il l’Europarlamento. E non ha escluso che la Commissione finisca per ritirare la propria proposta – la più verde delle tre – se un accordo in linea con la transizione verde alla fine non verrà raggiunto.
Ma andiamo per gradi. La politica agricola comune, accusata da decenni di inefficienza e ampia corruzione, è il più grande programma di sussidi diretti esistente del mondo: ben 390 miliardi di euro, oltre un terzo del bilancio comunitario: si tratta, pochi se ne rendono conto, di sovvenzioni superiori a quelle contenute nel Recovery fund, che si fermano a 290 miliardi di euro.
Un motivo c’è. Nei corridoi di Bruxelles si scherza, ma non troppo, che la Comunità europea, antesignana dell’Unione, sia nata per permettere alla Francia di esportare la sua agricoltura e alla Germania la sua industria. Di fatto, l’obiettivo del programma di sussidi agricoli era quello di garantire la sicurezza alimentare europea e la Francia ne è sempre stato il principale beneficiario, seguita da Germania, Spagna e Italia. Nel corso dei decenni, l’obiettivo iniziale si è perso di vista: la sicurezza alimentare degli europei è di fatto stata messa al servizio delle grandi aziende agricole che mirano soprattutto al dominio dei mercati mondiali, forti dei sussidi garantiti loro dai cittadini.
Come dice il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, «piccolo non è sempre bello», e i piccoli contadini, a vantaggio dei quali era sorto il programma, sono ora le vittime dell’agricoltura industrializzata promossa dalla Pac. Secondo Eurostat, i contadini dell’Unione sono diminuiti tra il 2003 e il 2013 di oltre un quarto: sono scomparse 4,2 milioni di aziende di cui l’85 percento disponeva di meno di cinque ettari di terre agricole.
Le perdite maggiori si sono avute in Polonia, Romania e Italia (dove si sono perse 600mila aziende agricole). A cambiare non è stata l’estensione complessiva: sono cresciute del 18 per cento le aziende con oltre 100 ettari.
Il risultato è che oggi il 20 per cento delle aziende agricole europee intasca l’80 per cento dei sussidi Pac.
Il fenomeno è incoraggiato dalla struttura stessa della Pac, che lega i sussidi all’estensione del terreno e non a quanti la coltivano o alla produttività e nemmeno alle modalità di produzione: più terra agricola (anche non coltivata), più sussidi, al punto che molti imprenditori usano i sussidi europei solo per comprare terra aggiuntiva, denuncia Antonio Onorati, membro del Coordinamento europeo di Via Campesina.
Col tempo, si sono formate storture macroscopiche: il denaro dei cittadini europei è finito nelle tasche di alcuni dei più grandi latifondisti moderni, dalla regina d’Inghilterra al principe di Monaco, nelle casse di colossi dolciari come la tedesca Haribo e di produttori di asfalto (perché costruiscono infrastrutture utili all’agricoltura) o, addirittura, a politici-imprenditori dell’Est, come il premier ceco Andrej Babiš, il più grande imprenditore agricolo d’Europa. L’agricoltura europea è stata di fatto appaltata alla grande industria, alla produzione di massa e ai grandi affari.
Se questa situazione, in cui a beneficiare dei sussidi europei sono soprattutto le élite imprenditoriali, fino ad un paio di anni fa passava relativamente inosservata, adesso, complice la rivoluzione verde e il bisogno di denaro fresco richiesto dall’emergenza del Covid, è tollerabile a fatica. E difatti anche i giovani dei Fridays For Future, capitanati da Greta Thunberg, si sono scagliati contro questa Pac “anni Novanta” che, da una parte, mina alle basi la questione della solidarietà sociale e la bontà di finanziamenti pubblici destinati a mantenere competitive a livello globale aziende che non lo sarebbero (a detrimento, tra l’altro, della produzione agricola di quel Nord Africa che l’Europa dice di volere sostenere) e, dall’altra, permette all’agricoltura di massa di continuare a inquinare, a deturpare l’ambiente e a uccidere la biodiversità.
Il 17 per cento delle emissioni di gas a effetto serra viene prodotto dal settore dell’allevamento, una percentuale cresciuta del 6 per cento tra il 2007 e il 2018 grazie agli allevamenti intensivi. Il numero di farfalle, api e uccelli è in declino a causa della diminuzione di aeree non coltivate, e questo nonostante il lavoro degli impollinatori sia cruciale per l’84 per cento dei raccolti, scrive l’Agenzia europea per l’ambiente.
La scadenza della vecchia Pac settennale proprio nel 2020 sembrava arrivare al momento giusto: in tempo per rinnovarsi in linea con le attese di questo decennio verde. Ma invece, salvo ripensamenti dell’ultimo minuto, non sarà così. La Commissione aveva già preparato la sua nuova proposta di Pac nel 2018, durante la scorsa legislatura, ben prima del varo della nuova politica verde. A maggio scorso aveva poi pubblicato un documento per spiegare come quella politica potrebbe diventare compatibile con il Green Deal e con la sua strategia “dalla fattoria alla forchetta”, che mira a costruire un sistema alimentare sostenibile sia sotto il profilo ambientale sia sotto quello sociale, con l’aiuto di Parlamento e Consiglio. Questi due però sono andati avanti per la loro strada, e lo scorso ottobre hanno messo insieme proposte ancora rivolte a massimizzare la produzione e i profitti dell’industria agricola, non certo a promuovere la rivoluzione ambientale.
«La Pac è sostenuta da una rete di interessi che briga da mesi per bloccare ogni cambiamento», spiega, carte alla mano, Nina Holland di Corporate Europe Observatory, l’ong che si occupa di lobby a Bruxelles: «Si tratta di un gruppo molto vario, tenuto insieme dalla volontà di perpetuare il vecchio e redditizio sistema di produzione e di distribuzione dei sussidi. Ci sono ministri dell’Agricoltura, burocrati della direzione generale dell’Agricoltura, la maggioranza del Comitato agricoltura nel Parlamento europeo e la potentissima lobby dell’agro business europeo Copa-Cogeca».
Questa volta il Parlamento, e in particolare i tre partiti della maggioranza – popolari, socialisti e liberali – è stato meno ambizioso nella sua proposta della Commissione, anche se, come spesso succede a Bruxelles, sono i capi di Stato riuniti nel Consiglio che proprio non ne vogliono sapere di sottomettere i sussidi diretti a misure ambientali.
I dettagli della politica agricola comune sono tanti e complessi. Tra le misure più significative, la Commissione aveva chiesto che almeno il 40 per cento del bilancio complessivo della Pac contribuisse all’azione contro il cambiamento climatico grazie non solo a misure contenute nei fondi per lo sviluppo rurale, ma anche a eco-schemi a cui fossero sottoposte le sovvenzioni dirette agli Stati.
Nella proposta di Strasburgo, entrambe le componenti della Pac (fondi per sviluppo rurale e sovvenzioni agli Stati) dovrebbero essere vincolate per il 30 per cento a misure eco-sostenibili, mentre per il Consiglio solo per il 20 per cento e, nel caso in cui le misure ambientali eccedessero il 30 per cento dei fondi per lo sviluppo rurale, anche meno. Il Parlamento, dove siedono molti deputati con interessi diretti in materia d’agricoltura, a fronte di quel 30 per cento vuole però dagli Stati membri l’obbligo di spendere il 60 per cento dei sussidi a sostegno del reddito degli agricoltori (non necessariamente piccoli) slegati da obiettivi ambientali, di fatto limitando al 40 per cento il massimale di utilizzo dei sussidi per misure verdi. Contestualmente, il l’Europarlamento ha bocciato gli emendamenti che volevano introdurre meccanismi per l’aumento dei sussidi in proporzione all’aumento della manodopera (e non a caso Confagricoltura elogia i meriti della tecnologia in agricoltura) e l’emendamento che avrebbe voluto scoraggiare gli allevamenti intensivi. Infine, Strasburgo chiede l’obbligo che i sussidi sottoposti agli eco-schemi siano vantaggiosi per le aziende e vuole l’eliminazione del divieto sia di prosciugare le torbiere (fondamentali nel stoccaggio del carbonio) sia di convertire in terre arabili le praterie che si trovano nelle zone protette.
Secondo i piani verdi della Commissione, entro il 2030 dovrebbero essere ridotti del 20 per cento i fertilizzanti, del 30 per cento le emissioni di gas serra anche nel settore agricolo, del 50 per cento i pesticidi e gli antibiotici negli allevamenti. Dovrebbe invece essere aumentato del 25 per cento il totale delle superfici agricole biologiche e del 10 per cento quelle ad alta diversità, e tutelato come zona protetta il 30 per cento delle terre e dei mari.
Ma invece il Parlamento ha bocciato tutti gli emendamenti che avrebbero aiutato a raggiungere questi obiettivi.
«I socialisti hanno rifiutato regole di condizionalità importanti, e sono stati contrari perfino alla rotazione delle colture, fondamentale per ridurre i pesticidi», denuncia Benoit Biteau, agricoltore francese e nuovo europarlamentare verde, membro della Commissione agricoltura:
«Una grande delusione. Questa Pac è quella dell’ultima chance per la nostra agricoltura e per i contadini che vivono del loro mestiere».
- Da notare che, in Coldiretti, c’è chi sembra dissentire con la linea della presidenza attuale, vedi in merito : Ferrero : la politica delle nocciole in Italia e in Turchia.Oppure vedete direttamente : Coldiretti Cuneo: il documentario Né tonda né gentile è online (video) oppure Un viaggio nell’inferno turco in compagnia di un giovane regista e di Coldiretti.
- Sulle lobby dei pesticidi potete anche leggere questo pezzo. Oppure questo articolo che parla dello smercio di sostanze proibite da parte della lobby dei pesticidi in paesi extra UE. Recentemente Le Monde ha denunciato l’avvicinamento della FAO (ONU) alla lobby dei pesticidi Crop Life International (Bayer, Crop Science , Corteva, Syngenta, BASF).
- In Francia gli agricoltori sono sovraesposti a certi tipi di camcro : linfomi, leucemie, melanomi, tumori del sistema nervoso o cancro della prostata (Le Monde 28 novembre 2020).
- La prossima PAC è insufficiente per mantenere gli obiettivi del Green Deal (secondo il Parlamento europeo).
- In Kerala (India), dopo migliaia di sucidi di agricoltori , si è costituito un sindacato indipendente, slegato dalle associazioni e o sindacati esistenti. Governo dello stato e multinazionali sono dovute venire a compromessi con questa nuova forza.
Conclusione : i consumatori si possono unire e gli agricoltori consorziare.
Pubblicato il 27 novembre e aggiornato il 28 novembre 2020.



