Leggendo il titolo de Il Sole 24 ore dell’11 settembre sembrerebbe che le “grandi marche” vadano bene…
Ma come abbiamo già evidenziato in “Largo Consumo: l’erosione della quota di mercato delle grandi marche dal 1997 ad oggi”, il momento, per le grandi marche, è molto critico.
Il Sole 24 ore è preso tra l’incudine ed il martello del dire la verità e non scontentare i propri aderenti più influenti del Largo Consumo Confezionato, aderenti a Centromarca, costola di Confindustria.
Andando oltre il titolo e leggendo tra le righe si capisce (fonte IRI) che le marche , nel primo semestre dell’anno, vanno “meno peggio” del 2013 (-0,1% contro il -0,6% dell’anno scorso).
Ma le “grandi marche” (*) vanno peggio delle aziende medio – piccole di marca, anche se Il Sole 24 ore non ci da il dato, di crescita o di decremento, delle grandi!
(*) le “top 25” che rappresentano il 34% delle marche.
Il Sole ci dice solo che le medio – piccole ” crescono dell’1/1,1%” e che i prodotti a marchio privato (private label) sono fermi, a crescita 0 (- 1,4% a volume).
Si può però desumere che le top 25 siano in decremento perchè i fatturati subiscono queste variazioni:
nb: i link sotto si riferiscono a situazioni passate, tranne che per Ferrero, Procter, Unilever e Henkel
Danone: – 12%
Coca – Cola : .- 3,5%
Unilever: – 3,3%
Lavazza: -2,7%
Lactalis : – 2,6%
Parmalat: – 2,1%
(nota: ma Lactalis non possiede Parmalat?)
Perfetti : – 2%
Nestlè : – 1,6%
Mondelez (ex Kraft) : – 1,4%
San Pellegrino (gruppo Nestlè) : – 1,3%
Le varie razionalizzazioni di Unilever , Procter e Henkel sono gli ulteriori segnali di una profonda crisi di tutto il mondo del Largo Consumo.
Le uniche aziende che si salvano, tra le grandi, sono:
Barilla: – 0,1%
Ferrero: -0,2%
Granarolo: + 0,8%
San Benedetto: + 1,5%
Heineken: + 4,3%
Quel che è “divertente” è che per leggere un articolo de Il Sole 24 ore ci voglia un interprete,con tutto il rispetto per Emanuele Scarci che stimo e rispett0…
Ma non è la prima volta (v. “Come sono andati i saldi estivi?”) e non sarà certamente l’ultima!
Qui sotto Paolo Barilla, all’estrema sinistra della foto, con Giuseppe Caprotti a destra, al CIES di Singapore nel 1998.
Nella GD, nel primo semestre , le vendite sono calate dello 0,3%, sia a volume che a valore,
Mentre il Parlamento ha in discussione un disegno di legge che imporrebbe 6 giorni l’anno di chiusure obbligatorie per tutto il Commercio (1), GD inclusa, e la riattribuzione del potere decisionale in materia di orari dei negozi a Regioni e Comuni.
Il “federalismo” all’italiana nel Commercio ha sempre significato:
a) tempi più lunghi per prendere decisioni semplici (2), forte lobbying , a livello locale, delle associazioni dei piccoli commercianti ,
b) penalizzazione della GD e quindi, alla fine, anche dei consumatori.
(1) con la possibile perdita del lavoro da parte di diverse migliaia di addetti
(2) es.: comunicazioni di possibile aperture date dai Comuni alle strutture della GD uno o due giorni prima del giorno in questione, con l’impossibilità- per le insegne – di pubblicizzare in tempo l’apertura del punto di vendita sui giornali e di programmare al meglio la gestione degli addetti .
E ad agosto il calo è stato ancora più forte, a causa della deflazione e della crisi economica che sembra aggravarsi:
“Il calo delle vendite , incluso il fresco a peso variabile, per le catene della GDO arriva al 3,1%” (Nicola De Carne Retail Business partner Nielsen Italia, su Il Sole 24 ore del 15 settembre).
La flessione del Largo Consumo Confezionato (marche – grandi e piccine – già menzionate), ad agosto, è stata pari al -2,6%.
La differenza nei decrementi tra GD e Largo Consumo Confezionato sta che nei dati della GD ci sono anche i freschi a peso variabile, nel LCC no.
In effetti …
… l’ effetto deflazione (dal -8,9% al – 11,8%) – con un calo drastico dei fatturati – è stato ancora più forte nell’ortofrutta, comparto colpito dal clima sfavorevole (che ha tolto gusto alla frutta), da una forte sovraproduzione e dall’embargo russo.
E a proposito degli 80 euro in busta paga segnaliamo questo pezzo tratto da Repubblica.it del 29 settembre 2014 :
“..Francesco Avanzini, direttore commerciale di Conad, commenta i dati che emergono dall’ultima rilevazione condotta da Nielsen per conto di Conad, partner di Osserva Italia, il sito di Affari&Finanza-La Repubblica che monitora l’andamento dei consumi.
La survey è stata condotta a livello individuale sul Panel Consumer di Nielsen a fine luglio su un campione rappresentativo della popolazione italiana di età superiore ai 14 anni.
Dall’indagine emerge che oltre la metà dei dieci milioni di italiani (il 53%) che ha ricevuto il bonus di 80 euro spenderà i soldi.
Ma solo il 39%, è la stima, saranno utilizzati in spesa quotidiana.
Il 36% in spese non comprimibili (affitto, mutuo, bollette, spese condominiali e mediche).
«I risultati dell’indagine non mi sorprendono affatto:
era evidente fin dall’inizio che il bonus avrebbe inciso pochissimo sui consumi.
Gli unici prodotti che crescono sono quelli base:
farina, uova, zucchero e latte a scapito di frutta, verdura e carni»,
sottolinea il direttore commerciale di Conad, un osservatorio privilegiato con una rete di 3019 punti vendita spari su tutto il territorio nazionale.
Pesa, molto, il clima di incertezza che aleggia sulla copertura finanziaria..”
Gli effetti di questa crisi rischiano di essere devastanti anche per i lavoratori, come si vede da questi tre esempi, riguardanti Agnesi, Danone e Coca- Cola:
29 luglio 2014, Imperia Post
Lettera aperta di un dipendente: “…Sarà solo colpa del mercato oppure qualcuno ha dato una mano perchè tutto ciò potesse accadere? Spero che Colussi continui a produrre la pasta a Imperia dove è nata e continua ad essere un simbolo per la città…”
Un dipendente dell’ Agnesi, Tiziano Balosetti, ha scritto una lettera aperta per esprimere tutta la sua amarezza per la chiusura dello stabilimento a fine 2015.
Si tratta dell’impianto d’ Imperia
Danone: chiude 3 impianti in Europa, in Italia 100 esuberi
Il piano sarà completato entro la metà dell’anno prossimo. La società che nel nostro Paese impiega 320 persone e fattura 300 milioni di euro, paga la crisi economica. Pesante la divisione latticini. La produzione si sposterà verso Belgio, Polonia, Germania e Francia
MILANO – Danone, colpita dagli effetti della crisi, chiude tre impianti in Europa, uno dei quali è quello italiano di Casale Cremasco con un impatto notevole sul livello occupazione nel Paese. Lo rende noto lo stesso colosso alimentare francese precisando che per l’impianto italiano, in particolare, è prevista la soppressione di 100 posti di lavoro: complessivamente il gruppo impiega 320 persone nel nostro Paese con un fatturato di oltre 300 milioni di euro.
Gli altri due stabilimenti che verranno chiusi, precisa la nota, sono quello di Hagenow in Germania e quello di Budapest in Ungheria. Nel dettaglio, il piano di chiusure prevede 100 esuberi in Italia, 70 in Germania e 155 in Ungheria. Ma Danone fa sapere che “lavorando a stretto contatto con i rappresentanti sindacali, intende prendere le misure necessarie ad identificare soluzioni lavorative per ciascuno dei dipendenti coinvolti”. Il progetto, precisa ancora la nota, sarà pienamente implementato entro la metà del 2015.
“Dal 2010 – spiega il colosso alimentare – un perdurante calo dell’economia europea e della spesa per consumi ha portato ad una significativa contrazione dei ricavi nella regione. Anche se il volume delle vendite in Europa mostra ora segnali di graduale miglioramento, la divisione latticini del gruppo ha registrato una complessiva frenata, con casi locali di eccesso di capacità produttiva”.
Il gruppo sottolinea quindi che la programmata chiusura dei tre impianti in questione, con un graduale spostamento della produzione in Belgio, Polonia, Germania e Francia “dovrebbe consentire alla divisione latticini di migliorare la propria capacità produttiva e i livelli di competitività in Europa”.
(11 giugno 2014)
Gli esuberi Coca Cola scendono a 160
Francesco Prisco 27 settembre 2014
Accordo in extremis sulla procedura di mobilità aperta a luglio scorso da Coca Cola su tutto il territorio nazionale: gli esuberi scendono da 249 a 160, le uscite avranno luogo in via prioritaria sulla base dei criteri di volontarietà, raggiungimento dei requisiti per la pensione e quindi secondo i termini di legge.
Nel primo pomeriggio di ieri, presso la sede di Assolombarda, il management di Coca Cola Hbc Italia, multinazionale ellenica che qui da noi produce e commercia la celebre bevanda, e le delegazioni di Fai, Flai e Uila hanno trovato la quadra su una delle vertenze più complesse degli ultimi mesi per il settore dell’industria alimentare. Era l’ultimo giorno disponibile, sulla base della legge 223/91, per raggiungere un punto d’incontro o sottoscrivere un mancato accordo. L’urgenza della circostanza ha fatto sì che venisse rinviato l’incontro previsto, sempre per ieri, al ministero dello Sviluppo economico per fare il punto sulle strategie di Coca Cola: l’azienda si è comunque impegnata a presentare al più presto al Mise un piano industriale dettagliato sul proprio futuro in Italia.
L’accordo di ieri, riguardante gli esuberi delle attività commerciali e amministrative, abbraccia un arco temporale che va fino al 30 dicembre. Apertura non di poco conto è la riduzione degli esuberi pari a ben 89 unità. In via prioritaria si procederà con la non opposizione all’esodo: Coca Cola ha informato le parti sociali del fatto che già esisterebbero 75 persone pronte a lasciare volontariamente. Il 23 ottobre si terrà un coordinamento per fare il punto sul piano in corso. Dal 25 al 30 ottobre si procederà secondo i termini di legge. Quanto alle misure di sostegno economico per chi esce, saranno oggetto di tavoli a livello territoriale. L’accordo sottoscritto ieri sarà ratificato al ministero del Lavoro il prossimo 30 settembre.
Ma ancora più interessante, per comprendere le sorti dell’azienda che in tre anni ha attuato tre processi di riorganizzazione chiudendo stabilimenti storici come quelli di Cagliari e Biella, sarà l’incontro sul piano industriale che Coca Cola si è impegnata a tenere al Mise. Dalla multinazionale fanno sapere che «alla fine ha prevalso il dialogo, anche in virtù degli storici ottimi rapporti con le sigle». Il segretario nazionale di Uila Pietro Pellegrini si augura che ora «l’azienda, archiviata quella che ci auguriamo essere l’ultima riorganizzazione, ci presenti un piano industriale serio e credibile per il futuro e la stabilità del gruppo». Marco Bermani di Flai attende «riscontri concreti sulle scelte che, da qui ai prossimi anni, riguarderanno l’Italia». Fabrizio Scatà di Fai, in ultimo, sottolinea come «il raggiungimento dell’accordo in una vertenza così complessa ribadisca la centralità del ruolo del sindacato come punto di riferimento per la tutela dei lavoratori».
@MrPriscus
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Gli esuberi iniziali
In base all’accordo siglato ieri «recuperati» 89 posti di lavoro
La situazione rischia di essere aggravata dall’aumento dell’IVA, come giustamente hanno fatto notare:
Confcommercio (Ansa, 22 ottobre 2014)
Federdistribuzione (Il Sole 24 ore del 25 ottobre 2014)
L’aumento delle aliquote dal 10 al 13% e dal 22 al 25,5% rischia di far deprimere ulteriormente i consumi e far scendere il gettito.
Per una volta i piccoli commercianti, la GD e Confindustria sembrano essere d’accordo.
p.s.: è giusto rilevare che a ottobre “Si interrompe la spirale deflattiva, a ottobre i prezzi al consumo crescono dello 0,1%”
prima stesura : 11 settembre 2014
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