Redatto il 24 maggio ed aggiornato il 6 giugno 2022
Di fronte alla possibile “tempesta perfetta”,che rischia di portare alla stagflazione,Coop ha deciso una svolta epocale: meno grandi marche, più prodotti a marchio privato.
Una scelta coraggiosa, anche se il momento sembra essere molto propizio per abbassare la quota delle grandi marche, sempre più in gran difficoltà.
Per capire le intenzioni di Coop puoi leggere questo articolo o ancora questo pezzo.
Sotto un’ articolo del Corriere della Sera del 14 maggio 2022 che spiega la decisione

Al di là degli annunci, bisogna capire come ciò potrà avvenire, anche – ad esempio – nella “mia” piccola cooperativa di Albiate.
Faccio degli esempi pratici :
- nel caffè sarà magari relativamente facile togliere una marca follower come Pellini o Segafredo.
- più difficile togliere dallo scaffale del tè l’unica grande marca che è Lipton (Unilever) per fare spazio a marchio o marchi Coop. Questo si vede facilmente guardando lo scaffale sotto. Ciò vale anche, ad esempio, per i gelati dove – ad oggi – la superette di Albiate ha solo il marchio leader Algida (Unilever) ed il marchio della cooperativa.

Altro esempio: se nel cibo per animali umido c’è solo il marchio Coop – come avviene ad Albiate – non potrò rimpiazzare un bel niente per sostituirlo con il marchio del distributore.

Sulla pasta potranno invece uscire dallo scaffale Felicetti, Rummo o Garofalo.

Tutto ciò premesso faccio presente che:
- come alcuni hanno rilevato, le cooperative fanno ancora molto fatica a chiudere il conto economico in positivo . Quindi rinunciare a contributi promozionali che incidono ormai più del 15% (*) sul fatturato non sarà semplice.
- la soluzione perfetta sarebbe imbastire un marchio privato focalizzato sui freschi come ha fatto, ad esempio, Marks and Spencer in Inghilterra, rinunciando ai fondi dei fornitori. Ma è difficile perchè gli italiani hanno abitudini alimentari diverse dai britannici e fonti di approvvigionamento dirette per il cibo fresco (prodotti agricoli comprati alla fonte, soprattutto a Sud o orti coltivati direttamente).
- anche chi, in Italia , è riuscito almeno in parte a costruire prodotti a marchio privato buoni (freschi, piatti pronti freschi, prodotti confezionati), facendo una politica di marketing “sana” non ha rinunciato a questi fondi ingenti, che vengono anche dalla grandi marche.
- gli spazi di manovra, nei punti di vendita più piccoli, come la Coop di Albiate, per il grocery non sono ampi.
Conclusione : per capire se questa iniziativa possa funzionare bisognerebbe poter analizzare tutti gli assortimenti ed avere dei dati che oggi mancano: sappiamo solo che il 50% del fatturato Coop sia prodotto da ipermercati .
Sul resto della rete si sa poco o niente (“Secondo i responsabili della catena l’offerta nei 1.100 supermercati dislocati in 18 regioni d’Italia cambierà del 50%”).
E ottenere l’incidenza dei contributi promozionali (15% *) in altro modo, in un contesto molto difficile, ci pare un traguardo ardito per chiunque, non solo per le cooperative.
La mossa, portata avanti da Maura Latini, ci sembra quella di un consorzio che vuole prendere o riprendersi, a seconda delle regioni, la leadership, contro Conad, Esselunga ed i discount.
E al quale , da ex avversari , inviamo il miglior in “bocca in lupo”.
Audaces fortuna iuvat : la fortuna aiuta gli audaci.
(*) la loro incidenza sul bilancio consolidato di Esselunga , nel 2017, era , ad esempio, pari al 16%.
N.B.: sarebbe interessante sapere se Coop ha altrettante novità sull’approccio alle promozioni (con le pratiche sleali) e agli aumenti di listino, da cui dipende il destino delle tessuto produttivo italiano.
Da Coop ci si aspetterebbe anche una leadership politica marcata. Anche perchè l’ICQRF (Mipaaf) sembra incapace – per la vastità del mercato e mancanza di mezzi di controllare che le pratiche commerciali siano leali.



