Premessa:
“Il boom del made in Italy fa i conti con le materie prime
I consumatori sono sempre più attenti alla provenienza e all’impatto ambientale dei prodotti.
Ma…
il nostro Paese non riesce più a garantire l’autosufficienza in molti campi, a cominciare dal grano.
Per questo è arrivato il momento di ripensare e rafforzare le filiere
L’appeal del prodotto 100% italiano e che abbia un ridotto impatto sull’ambiente nella fase di produzione e distribuzione perché locale è sempre maggiore tra gli italiani: per il 64 per cento e il 51 per cento, rispettivamente. Così come – un consumatore su due – cerca di acquistare prodotti che possano essere garanzia di eticità.
E’ una questione di benessere, di mangiare sano perché ci si tiene alla salute. I prodotti autenticamente italiani, la cucina italiana, gli chef italiani fanno scuola nel mondo, ma…
l’Italia non riesce a produrre tutte le materie prime di cui avrebbe bisogno per garantire un prodotto “100% italiano”.
Per ragioni che spaziano dall’estensione dei terreni destinati alle produzioni agricole alle politiche comunitarie, molto restrittive la superficie coltivabile – estremamente frazionata in piccole e piccolissime estensioni – ha perso 5 milioni di ettari dal 1970 ad oggi e la popolazione è aumentata del 10 per cento nello stesso periodo: risultato,
l’Italia non può produrre… italiano se non ricorrendo a materie prime di provenienza estera.
Un rapporto di fine 2013 riporta che con il grano duro italiano si potrebbe fare solo il 65 per cento della pasta che si consuma in un anno; ecco dunque l’importazione di grandi quantità da Canada, Stati Uniti, America del Sud e dall’Ucraina.
Analogo il discorso per il grano tenero, che copre solo il 38 per cento dei consumi interni, la carne bovina (76 per cento), il latte (44 per cento), lo zucchero (24 per cento) e il pesce (40 per cento).
Le non avvedute politiche nazionali degli anni Cinquanta costringono, ancora oggi, ad importare legumi.
L’autosufficienza rimane per il pomodoro, il riso, il vino, la frutta fresca, il pollo, le uova, prodotti autenticamente 100% italiani.
Il discorso cambia per i trasformati: l’Italia produce più del doppio della pasta consumata, quattro volte i volumi di spumante bevuto, un terzo in più del consumo interno di formaggi.
Piuttosto che ricercare un’italianità oggi ridotta ad un semplice attributo geografico, meglio sarebbero, dunque, controlli e regole certe per tutti…”
Repubblica Affari e Finanza, del 3 settembre 2014
1) il problema
In Italia è praticamente impossibile capire se un prodotto alimentare è fatto con ingredienti italiani (= coltivati e prodotti in Italia).
La non riconoscibilità degli ingredienti esiste in altri paesi della UE…
Infatti, facendo la spesa in un supermercato della UE, davanti a questo scaffale mi sono domandato :
“qual’è la differenza tra white cheese e feta “?
2) il quadro normativo
“In vigore da dicembre (2014) le informazioni il nuovo regolamento europeo sulle etichette alimentari”
il Regolamento dell’Unione europea -da Wikipedia, l’enciclopedia libera – è un atto di diritto dell’Unione europea così descritto:
« Il regolamento ha portata generale. Esso è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri »
(art. 288 comma 2 TFUE)
“Si tratta di un atto giuridico vincolante, diretto non solo agli Stati membri, ma anche ai singoli.
Cosiddetti “self-executing”, sono direttamente applicabili nel senso che, a differenza delle direttive, non necessitano di alcun atto di recepimento o di attuazione, che sarebbe superfluo e anzi incompatibile, in quanto la trasposizione di un regolamento in un atto di diritto interno finirebbe per oscurare la natura di diritto dell’Unione Europea, con effetti relativi alla possibilità di proporre rinvio pregiudiziale, e all’efficacia nel tempo del regolamento stesso.
La diretta applicabilità tuttavia non esclude che il Consiglio, o più spesso la Commissione (sede nella foto), ed eccezionalmente gli Stati (questo può verificarsi qualora ad esempio agli stati sia demandato di stabilire l’entità delle sanzioni o altri oneri) intervengano con dei provvedimenti integrativi o d’esecuzione del regolamento.
I giudici nazionali li applicano direttamente, eventualmente anche al posto delle disposizioni interne incompatibili.
I regolamenti sono obbligatori in ogni loro elemento (obbligatorietà integrale), nel senso che gli Stati membri hanno l’obbligo di applicarli integralmente, senza deroghe o modifiche di sorta.
Di regola sono dotati di efficacia diretta sia verticale sia orizzontale, ma se sono privi di sufficiente precisione o non sono incondizionati questa è esclusa.
Gli atti normativi dell’UE si caratterizzano per il fatto di non essere il risultato di accordi intervenuti tra Stati (come nel caso dei Trattati), ma di essere l’esito di attività di organi dell’Unione Europea. In altre parole, la caratteristica fondamentale di queste norme è quella di provenire non da attività di natura convenzionale, ma da attività di natura istituzionale.
Gli organi principali dell’Unione, sotto il profilo della produzione normativa, sono il Consiglio, la Commissione e il Parlamento…”
3) le iniziative italiane
mentre il nostro parlamento cerca di rendersi ridicolo…
..il governo sembra aver preso coscienza del problema e forse anche delle opportunità da cogliere…

Se Made in Italy fosse un brand sarebbe il terzo al mondo
di Giuliano Noci 27 agosto 2014 .
Un progetto dedicato ai giovani che – se selezionati – riceveranno una borsa di studio di 6mila euro all’esito di un percorso formativo che Google e Unioncamere hanno promosso in collaborazione con l’Agenzia Ice.
I giovani dovranno aiutare le imprese dei territori a sfruttare le opportunità offerte dal web per far conoscere le eccellenze del Made in Italy. Samsung , invece, ha varato il progetto Maestros Academy (http://www.maestrosacademy.it) per far crescere una nuova generazione di artigiani italiani mettendo in contatto maestri artigiani e giovani.
Qualche dato: il valore del commercio elettronico a livello mondiale cresce a ritmo sostenuto: 1,3 trilioni di dollari nel 2013 (+ 20% anno su anno).
Se il Made in Italy fosse un brand sarebbe il terzo marchio più noto al mondo, dopo Coca Cola e Visa.
E le ricerche condotte su Google, nel primo semestre 2013, mostrano che il Made in Italy e i suoi settori-chiave sono cresciuti dell’8% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, con picchi in Giappone (+29%), Russia (+13%) e India (+20%).
Nonostante questi numeri solo il 34% delle Pmi italiane è presente online con un proprio sito; solo il 4% delle realtà italiane con più di 10 addetti vendono almeno l’1% online, contro il 12% di quelle francesi e spagnole, il 14% del Regno Unito e il 21% delle imprese tedesche;
le migliori venti aziende italiane che operano online fanno assieme il 70% del fatturato dell’e-commerce italiano. Le prime 50, l’86 per cento. Le ragioni: investimenti elevati, competenze specifiche, presidio delle leve tecnologiche e di marketing.
Il governo Renzi dovrebbe prendere l’iniziativa di concorrere a costruire un’identità unitaria del Made in Italy, un Master Brand capace di fornire rassicurazioni, specifiche associazioni mentali positive al mercato, soprattutto per le piccole imprese…
… Occorre lavorare per trovare un simbolo, una rappresentazione iconica evocativa dell’italianità;
Oscar Farinetti ha proposto la mela (per l’agroalimentare), un concorso internazionale dovrebbe aiutarci a celebrare l’integrazione tra creatività e tecnica.
Con un motore di promozione, un piano marketing che conti su di una unica cabina di regìa: un’Agenzia Italia (esteri, commercio, turismo e cultura)- alle dipendenze della Presidenza del Consiglio – che si avvalga del braccio operativo della rete diplomatica.
Serve un nuovo marketing mix; nel nuovo mondo è fondamentale non solo essere presenti a fiere, organizzare eventi, quanto piuttosto costruire una presenza multicanale del marchio Italia: nuovi media e cinematografia sono i principali strumenti con cui costruire opinioni e preferenze in capo a un soggetto unitario di promozione.
Una gestione integrata del marchio Italia promette crescita: solo i settori più ancorati all’effetto Made in Italy (abbigliamento, arredo, agro-alimentare) con un +10% del valore dell’export genererebbero nei prossimi 10 anni circa 100 miliardi di entrate in più.
Ben venga dunque Google – che legittimamente intravede nella costruzione di contenuti legati al Made in Italy e nel percoso di alfabetizzazione digitale degli operatori italiani un grande potenziale pubblicitario – ma Governo, sistema camerale, agenzia Ice devono credere nel lancio di un grande piano di formazione e marketing digitale del Made in Italy”.
4) cosa dice il nuovo regolamento europeo (UE N. 1169/2011)?
(che deve andare in vigore a dicembre 2014, v. AgraNews supra):
nei principi generali si legge che:
punto (26) : “le etichette dovrebbero essere chiare e comprensibili”..
punto (29): “le indicazioni relative al paese d’origine o al luogo di provenienza di un alimento dovrebbero essere fornitre ogni volta che la loro assenza possa indurre in errore i consumatori per quanto riguarda il reale paese d’origine o luogo di provenienza del prodotto.”
ma al punto (31) si capisce che l’obbligatorietà concerne solo “carni bovine e i prodotti a base di carni bovine all’interno dell’Unione”.
al punto (32) si fa riferimento ad altri regolamenti su miele, frutta e ortaggi, pesce e olio d’oliva (oltre che alle carni bovine) e si parla del fatto che “occorre esaminare la possibilità di estendere da altri alimenti l’etichettatura di origine obbligatoria”.
Se poi si entra nel merito degli articoli del regolamento, al n° 26, al punto 5, si legge:
“Entro il 13 dicembre 2014 , la Commissione presenta al Parlamento europeo e al Consiglio relazioni sull’indicazione obbligatoria del paese d’originie o del luogo di provenienza per i seguenti alimenti:
a) i tipi di carne diverse dalle carni bovine..
b) il latte
c) il latte usato quale ingrediente di prodotti lattiero-caseari
e) i prodotti a base di un unico ingrediente
f) gli ingredienti che rappresentano più del 50% di un alimento…
Ma poi all’articolo 38 , punto 2, si dice:
“… gli Stati membri possono adottare disposizioni nazionali concernenti materie non specificatamente armonizzate dal presente regolamento purchè non vietino, ostacolino o limitino la libera circolazione delle merci conformi al presente regolamento”
L’obbligatorietà riguarderà quindi solo
carni,
latte,
prodotti lattiero caseari o ….
alimenti composti praticamente da un solo ingrediente, come la pasta?
Nella realtà :
1) Confindustria si prodiga molto per l’etichettatura obbligatoria del Made in Italy,
ma esclusivamente per il non food…
2) il nostro governo sembra non avere i soldi per il piano annunciato supra
3) negli USA non ne vogliono sapere del Marchio Made in Italy…
Sulla posizione di Gran Bretagna e USA basta prendere spunto dall’articolo che segue.
p.s.: The Economist è , da sempre pro Stati Uniti, in tutte le questioni che riguardano l’agricoltura ( ad esempio è sfacciatamente pro – ogm..)
Sui nomi degli alimenti e sull’etichettatura The Economist, a luglio , fa presente che gli americani hanno percepito che gli europei “vogliono indietro i nomi del loro cibo”.
La UE ha infatti domandato “protezione” per 145 denominazioni , tra le quali la feta, l’asiago, il gorgonzola e la fontina.
The Economist si domanda , quali nomi dovrebbero essere protetti, confondendo , in modo scherzoso e abbastanza opinabile, i nomi di certi tipi di cibo (es.: l’hamburger) con le denominazioni di origine tipica.
…e l ‘Europa vuole proteggere, contro gli USA, le denominazioni, legate essenzialmente a dei luoghi o a delle regioni ma…
non vuole un’etichettatura chiara e obbligatoria della pasta, fatta in Italia con grano estero!
p.s: in questo contesto, il titolo de Il Sole 24 ore del 16 novembre suona come una vera e propria beffa…
p.s.:
“Una disposizione della Ue, assunta dall’Italia, annulla l’obbligo di mettere lo stabilimento di produzione nell’etichetta …”.
Retailwatch di Luigi Rubinelli del 26 novembre 2014
Un po’ di chiarezza, da parte di Confindustria, non guasterebbe… perché il governo italiano ha altri problemi e alla UE e agli USA la pasta “Made in Italy” non interessa.
Sulla pasta v. anche:
Altri articoli:
“Le certificazioni Dop e Igp e il consumatore”
“Esselunga, la GD, il tricolore e l’italian sounding”
“Se il made in Italy passa dalla distribuzione”
“Coldiretti, l’etichettatura degli alimenti e la criminalità organizzata”
“Made in Italy, per l’etichettatura è fondamentale”
“Olio di palma: l’etichettatura obbligatoria bloccherà la deforestazione”?
P.S.: questa “impostazione” poco chiara e trasparente , che danneggia il Made in Italy, è stata confermata con l’etichettatura che è entrata in vigore il 13 dicembre 2014
e finalmente Conad, nella GD, ha preso una posizione chiara
La Coscienza oltre la Legge
13/01/2015
Una nuova legge europea indirizzata alla grande distribuzione consente, per i “prodotti a Marca del distributore”, di poter omettere dall’etichetta le indicazioni riguardanti il luogo di produzione e l’azienda produttrice.
La nostra coscienza professionale ci impedisce di farlo.
Andiamo oltre la legge e vi spieghiamo perché.
Dal 13 dicembre 2014 è entrata in vigore la nuova legislazione europea che con il Regolamento n° 1169/2011 rende non obbligatorio per i “prodotti a marchio” della grande distribuzione, indicare sull’etichetta il luogo di produzione e il nome dell’azienda produttrice.
Ci rifiutiamo di prendere una scorciatoia forse utile per qualcuno ma che reputiamo eticamente impraticabile. Rispondiamo alla nostra coscienza fornendo ai clienti più garanzie di quanto la nuova legge ci obblighi a fornirne.
Fino ad oggi infatti per i nostri clienti è stato naturale prendere dallo scaffale un prodotto a Marca Conad, verificarne la scadenza, il luogo di produzione e il nome del produttore. Vogliamo che tutto ciò continui anche domani perché non siamo disposti a indebolire un rapporto fiduciario consolidato negli anni.
Crediamo che in generale la trasparenza sia un valore, ma che lo sia ancor di più per i cosiddetti “prodotti a Marca del distributore”, cioè i prodotti a Marca Conad, una categoria sempre più ampia e apprezzata su cui “ci mettiamo la faccia” e tutte le nostre attenzioni.
La nostra responsabilità su ciò che vendiamo col nostro nome non può dunque essere mutilata. Oltretutto questa nuova disposizione di legge, sottacendo l’origine e il nome del produttore, indebolisce il presidio del prodotto made in Italy e la qualità che il mondo ci invidia.
“Dura lex sed lex” si è sempre detto, ma per noi questa legge non è abbastanza dura.
E’ per questa ragione che alle persone che quotidianamente scelgono di fare la spesa da noi continueremo a dire, attraverso l’etichetta dei prodotti a Marca Conad, da dove arriva la merce che acquistano e qual è l’azienda produttrice.
Per noi, invocare maggiore tutela e trasparenza per “le cose” marchiate Conad significa prenderci cura delle persone che ogni giorno ci rinnovano la loro fiducia.
prima stesura: 31 agosto 2014
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