Luigi Rubinelli in un’interessante articolo su Retailwatch di febbraio 2015 ha fatto presente come, negli ultimi anni, la cucina sia diventata “l’argomento di maggior interesse” degli italiani.
Nel 2010 era solamente al 6° posto…
Rubinelli fa anche presente che il mercato del largo consumo confezionato si stia orientando in due direzioni diverse:
c’è chi , potendoselo permettere, spende per cibi di alta qualità e fa la spesa nei negozi bio o da Eataly, dove si trovano culatello, birre artigianali e barolo..
E chi, invece, si orienta sempre di più verso i discount, con un calo delle quantità ma anche della qualità degli alimenti , accertate dall’Istat…
Quel che Rubinelli non prende in considerazione sono i pasti fuori casa.
Nella ristorazione, negli ultimi mesi si è assistito ad un’accelerazione delle aperture di locali , in parte dovuta all’Expo 2015.
Molti hanno aperto ma altri devono ancora aprire: è il caso di Autogrill in Galleria a Milano ma anche di tante strutture più piccole…
A Milano aprono 2 strutture al giorno!
Tra queste tante aperture se ne trovano alcune di fascia alta e tante di fascia bassa, assimilabili ai discount della GD:
si tratta prevalentemente degli all you can eat cinesi che hanno fasce di prezzo abbastanza facili da distinguere, soprattutto per quel che riguarda la cena..
che può essere da 20 €
oppure da 18 €, per poi scendere a 15,90 €
fino ad arrivare a 13 €
Da segnalare che ci sono anche catene italiane che hanno prezzi stracciati…
E Eataly, al Lingotto si Torino, si propone nello stesso modo, vendendo panini a 3 €!
A questo punto vien da domandarsi: “cosa hanno in comune all you can eat fast food e discount? E cosa no?
discount, fast food e all you can eat hanno in comune un problema di qualità del cibo.
E gli italiani, pur consapevoli che la loro salute dipenda molto dal cibo…
continuando a comprare e a mangiare cibi di qualità scadente, rischiano:
1) di ammalarsi di tumore
WISE INCONTRI
Antonio Moschetta: «Un terzo dei tumori nasce a tavola»
Il professore barese e ambasciatore dell’Airc (*) spiega come la prevenzione e una corretta alimentazione siano indispensabili per combattere i tumori
«I tumori sono frutto del caso? Non scherziamo. La dichiarazione di Bert Vogelstein è stata forzata. I contenuti della ricerca sono attendibili, ma vanno spiegati. Altrimenti si rischia di trarre conclusioni azzardate, oltre che inverosimili». Antonio Moschetta, professore di medicina interna e nutrizione clinica all’Università degli Studi di Bari e ambasciatore dell’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro (Airc), esordisce così di fronte ai quasi cento tarantini accorsi al Cantiere Maggese per partecipare all’ultimo appuntamento de “Gli Aperitivi della Scienza”, rassegna organizzata con il patrocinio dell’Ordine Nazionale dei Biologi e il contributo della Bcc di San Marzano di San Giuseppe. L’incontro è fissato tre giorni dopo la diffusione dei risultati dello studio sulle colonne della rivista Science, da cui è partita la levata di scudi di oncologi e ricercatori italiani. Inevitabile, dunque, che il confronto parta da qui.
E’ giusto affermare che «due tumori su tre sono frutto del caso»?
Il 65 per cento dei tumori nasce dalla mutazione casuale delle cellule staminali: è questa la conclusione principale della ricerca.
Ciò, però, equivale anche a dire che un terzo dei tumori nasce a tavola. Ovvero: ha origine da una cattiva alimentazione.
Più che di affidarsi al destino, dunque, lo studio suggerisce la necessità di fare più ricerca per migliorare le procedure di screening e quindi la diagnosi precoce dei tumori. Porto soltanto un dato: oggi il 18% dei tumori della mammella in Puglia si riscontra nelle donne di età compresa tra i trenta e i trentacinque anni. Ciò vuol dire che consigliare la mammografiaa partire dai quarant’anni potrebbe impedirci di arrivare in tempo a scoprire una malattia che mostra elevati tassi di guarigione.
Perché le mutazioni all’origine dei processi di formazione dei tumori possono avvenire per “caso”?
Una mutazione “casuale” è la conseguenza dell’azione di una sostanza carcinogena – assunta attraverso la dieta, per via inalatoria o tramite un virus – che comporta una modifica della struttura del Dna. Ecco perché conviene sempre battere sul tasto della prevenzione per ridurre l’esposizione a sostanze potenzialmente dannose. Prima arriviamo alla diagnosi, maggiori opportunità abbiamo di curare qualsiasi tumore.
Perché nello studio sono stati considerati soltanto 31 tumori?
Sono state incluse tutte le neoplasie per cui è stata vista una causa legata all’intervento delle cellule staminali. Ma questa mutazione “per caso” non esclude un discorso legato alla prevenzione e all’adozione di corretti stili di vita. Vogelstein forse è stato troppo sintetico nel commento, ma una buona parte delle responsabilità le hanno i mass media. Scrivendo che quasi il 70% dei tumori si sviluppa per caso, si rischia di innescare un tam-tam che può indurre a trascurare la prevenzione. La battaglia contro il tumore possiamo vincerla più con la prevenzione che con lo sviluppo di nuovi farmaci.
Perché la nutrizione e gli stili di vita hanno un ruolo così rilevante per “evitare” o “posticipare” l’insorgenza di una neoplasia?
I dati non mancano: chi ha una circonferenza della vita pari a 110 centimetri ha un rischio
doppio di sviluppare una forma di cancro.
E aggiungo: le persone con diabete di tipo II convivono con le medesime probabilità.
Infine: le donne che mostrano almeno due dei fattori che caratterizzano la sindrome metabolica – ipertensione, ipertrigliceridemia, iperglicemia, bassi livelli di colesterolo Hdl, obesità addominale – hanno un rischio di sviluppare un tumore al seno superiore di 2,6 volte.
E dall’ultimo position statement della società americana di oncologia emerge un altro aspetto rilevante: tra due donne che sviluppano un tumore alla mammella, quella che ha una circonferenza addominale inferiore a 88 cm ha il 75% di probabilità in più di guarire entro dieci anni.
Come agiscono i nutrienti a protezione del nostro organismo?
La predisposizione di un individuo a sviluppare un tumore non risiede soltanto nei geni, ma anche nell’abilità dei nutrienti di “accenderli” o “spegnerli”. Quando in un tessuto si sviluppa un cancro, l’organismo risponde eliminandola attraverso un meccanismo di morte cellulare programmata. Alcune errate abitudini alimentari possono compromettere questo meccanismo di controllo e favorire l’effetto inverso: la proliferazione delle cellule malate».
Quali sono gli errori che si compiono a tavola e che possono favorire la crescita di un tumore?
Non è una questione di singoli alimenti. Campania e Puglia, patrie della dieta mediterranea, sono le due regioni italiane che mostrano i tassi più alti di obesità infantile. I nostri figli mangiano male: assumono troppi zuccheri in orari sbagliati, consumano poche fibre vegetali e molti alimenti raffinati, sono più sedentari che in passato.
Perché l’indice è puntato contro gli zuccheri?
Troppi zuccheri assunti di sera non vengono utilizzati e si accumulano nel fegato e negli adipociti. In questo modo si creano le condizioni per aumentare la circonferenza addominale e favorire la resistenza all’insulina: una condizione che crea un ambiente favorevole alla proliferazione del tumore. I chili di troppo sono la “benzina” di tutte le neoplasie.
Quanto ci si può fidare degli alimenti che troviamo sugli scaffali del supermercato?
Bisogna saper scegliere, senza perdere mai lo spirito critico. Non è ammissibile che mezzo chilo di pasta costi trenta centesimi. Né è concepibile che un litro d’olio abbia lo stesso valore di due caffè. La farina 00 è zucchero puro: una piccola rosetta di pane equivale a 5-6 cucchiaini di zucchero.
Oggi un bambino trova in quattro centimetri cubi la stessa quantità di zucchero che quarant’anni fa avrebbe trovato in un metro cubo di frutta.
Basterebbe recuperare alcune buone abitudini del passato per ridimensionare questo fenomeno: più legumi e cereali integrali, porzioni meno abbondanti, maggiore attenzione alle modalità di cottura e alla filiera alimentare.
Twitter @fabioditodaro
(*) sono consigliere nazionale Airc
2) di contrarre allergie
… che possono, in alcuni casi, come il cancro, portare anche alla morte
Ma sembra esserci una sostanziale differenza etica tra le tre tipologie perché l’ultima, al contrario dei discount e dei fast food, costituita quindi dagli all you can eat, non sembra essere controllata dalle autorità come le prime due.
C’è chi può vendere sottocosto, ed è sicuramente il caso di Eataly, ma è difficile pensare che tutte le strutture abbiano la stessa forza finanziaria e siano in regola, con contributi, tasse, etc..
Infatti, durante la deflagrazione dello scandalo “Mafia Capitale”, si era parlato di “piovra” (pieuvre), anche per bar e ristoranti
E Coldiretti, Eurispes e Osservatorio sulla criminalità hanno recentissimamente fotografato in modo molto chiaro questo fenomeno:
in Italia ci sono 5’000 esercizi pubblici in mano alle mafie
Per poter fare un raffronto basta pensare che a Milano ci sono circa 5’000 ristoranti.
In Italia ci sono oltre 312’000 locali: ristoranti, locali d’asporto, ambulanti, gelaterie, pasticcerie e bar.
In crescita tra il 2009 e il 2014 del 12,7% (dati Corriere Economia del 2 marzo 2015).
La sensazione è che i locali in mano alle mafie siano molti di più di 5’000.
Transcrime, Centro interuniversitario di ricerca sulla criminalità transazionale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (Milano) , citato da Giampiero Rossi in La Regola, giorno per giorno la N’drangheta in Lombardia, fa presente che :
” è interessante notare che nel settore alberghi e ristoranti i tassi più alti di concentrazione delle organizzazioni mafiose si registrano al Nord Italia, Brianza inclusa.
Il valore più alto in assoluto a livello nazionale è quello della provincia di Lecco, seguito da Milano…
Sempre secondo Transcrime, il 35% degli investimenti mafiosi sarebbero concentrati nel commercio…,
il 23% punterebbe su alberghi e ristoranti…”
e poi , solo terzo, sorprendentemente, verrebbe il settore delle costruzioni
“La spia di questo nuovo trend sono le aziende confiscate… Milano , infatti, è la terza provincia in Italia per numero di aziende confiscate: 3,4 ogni diecimila abitanti… Si tratta di tassi di penetrazione … superiori a quelli delle regioni del Sud”
La situazione è sicuramente stata aggravata dalla legge 122 del 30/7/2010 che ha liberalizzato il mercato eliminando le licenze : in questo modo si è favorita l’improvvisazione dei dilettanti e si è eliminata ogni barriera d’entrata sul mercato per le mafie.
E i lavoratori in nero ,in Italia, sono sicuramente molti di più di 77’387…
con un’evasione spaventosa, che supera certamente un miliardo e mezzo di €.
Negli all you can eat che vendono sushi si aggiunge un problema etico e ambientale riguardante l’origine del pesce pescato :
un quinto del pesce è pescato di frodo, vedi specie come il tonno e il pesce spada si sono ridotte del 90% dal 1950 ad oggi.
La questione del pesce pescato di frodo ci riguarda molto da vicino, come spiega questo articolo sotto:
I 400 predoni del pesce che avvelenano il Po
di Francesco Alberti
ROVIGO Nei vicoli scrostati di Borgo Fiorito, villaggio turistico mai decollato, accucciato sotto l’argine di Cavanella Po tra orizzonti lunghi e silenzi irreali, la gente e le targhe delle auto parlano solo romeno. Qui lo Stato un giorno è arrivato. E ha lasciato il segno della legge. I tre garage semicoperti dalla boscaglia sono stati ingabbiati con il nastro adesivo dei provvedimenti di sequestro dopo che la Forestale ha scoperto celle frigorifere capaci di contenere tonnellate di pesce strappato illegalmente al Po per poi essere stoccato in barba alle più elementari norme igieniche e quindi caricato su furgoni verso i mercati dell’Est (ma anche qualche bancarella italiana in vena di sconti). Appena però lo Stato se n’è andato, i fuorilegge hanno ripreso il sopravvento: «Tempo due settimane e i frigoriferi sono ricomparsi in un container…» sospira il comandante della Forestale di Rovigo, Gianfranco Munari.
Borgo Fiorito è solo uno dei santuari di una guerra sorda, figlia di un dio minore perché elettoralmente di scarsa audience, imbevuta di omertà, minacce e sottile paura, che da anni va in scena in quel miracolo di fauna, flora e acque dolci che è l’areale padano. Da Mantova al Delta, da Venezia a Ravenna, da Rovigo e Ferrara, migliaia di chilometri di Grande Fiume e canali.
È la guerra contro i predoni del Po: «pirati», «barbari», come li chiama la gente di qui. «Prima erano ungheresi, ora romeni: originari del Delta del Danubio, di cui hanno messo a rischio l’integrità ambientale con tecniche di pesca selvaggia, furono costretti ad andarsene per le restrizioni imposte dalle autorità romene e dall’Unesco, trasferendosi da noi» afferma il presidente della Provincia di Rovigo, il pd Marco Trombini.
È un business enorme dai contorni indefiniti: ogni clan è in grado di organizzare 2-3 carichi a settimana da 30 quintali ciascuno. Pesce che viene venduto a 10-15 euro al quintale, alla faccia della tracciabilità. Un sistema criminale che può contare, oltre che su una rete commerciale rodata, anche su agguerriti uffici legali per far fronte alle ingiunzioni dello Stato (particolarmente rinomato, si vocifera, un avvocato romeno del Trevigiano).
«Siamo al limite del disastro ambientale» afferma il presidente della Provincia di Rovigo. Solo a Ferrara, che vanta 4 mila km di canali, in un anno è andato perso un terzo del patrimonio ittico (dati dell’Università). E il sindaco di Adria, Massimo Barbujani: «Nei weekend compaiono tendopoli sulle sponde del Po e le golene si riempiono di resti di pesci». Per i pescatori sportivi è una tragedia: «I predoni ci tolgono la materia prima, arrecano danni all’intero comparto».
Ma il problema è più ampio: violazione delle norme igieniche, evasione fiscale, scarico abusivo di liquami, abusi edilizi. Un mix di reati contro il quali «lo Stato ha le armi spuntate» ammette il comandante Munari. Forestale, Finanza, guardie della Provincia e carabinieri fanno quello che possono, le Prefetture convocano tavoli, ma l’area da controllare è immensa e le risorse limitate. Successi ce ne sono: la Provincia di Ferrara ha recuperato 16 km di reti illegali, 14 barche, 2 motori fuoribordo; la Forestale di Rovigo ha intercettato più di 100 quintali di pesce. Ma manca il coordinamento. «E le sanzioni non hanno effetto sui predatori — afferma il comandante Castagnoli —. Su 46 mila euro di multe elevate, ne sono state riscosse 4500…».
L’unica cosa che i predatori temono è il sequestro dei mezzi. «Ma bisogna entrare nel penale, contestare l’articolo 733 bis sulla distruzione di habitat in un sito protetto: non è così semplice. Noi cerchiamo di sorprenderli, intercettando i furgoni» aggiunge Munari. La Lega, con il capogruppo in Regione Emilia Romagna Alan Fabbri, ha presentato una risoluzione che chiede «un inasprimento delle sanzioni e il sequestro dei mezzi, ma bisognerebbe cominciare a riconoscere la fauna ittica come patrimonio dello Stato». Poi c’è il problema delle licenze professionali. Chiunque la può chiedere alla Provincia, bastano 50 euro: «Ai predatori servono come copertura in caso di controllo — afferma Trombini — sarebbe ora di sospenderle».
La gente del Po, in questa guerra, c’è dentro fino al collo. Chi organizza ronde anti romeni. Chi informa la Forestale dei movimenti delle bande (ma sotto anonimato «perché quelli menano»). E chi, per un po’ di pesce gratis, ai predatori dà una mano.
Il Corriere parla di “mercato nero all’estero” ma nessuno sa dove realmente finisca tutto questo pesce.
Il problema dell’origine del Sushi riguarda anche la GD.
Qui sotto trovate una confezione di pesce esposta all’Unes
Sul sito di yamasushi leggiamo :
“…utilizziamo esclusivamente fornitori certificati …”,
Forse sarebbe il caso di spiegare meglio cosa s’intenda per fornitori certificati e di specificarne la lista, con relative provenienze del pesce.
In conclusione , nella ristorazione milanese, oggi, si assiste a:
1) un abbassamento del fatturato nella pausa pranzo, dovuto al fiorire di locali che offrono pasti ultra completi a pochi euro
2) lo svuotamento della città alla sera, con il biglietto offerto da Expo a 5 €
Oscar Farinetti pensa, senza ombra di dubbio, al “bene dell’Italia” ma chi penserà ai lavoratori del commercio e della ristorazione di Milano che rischiano il loro posto di lavoro? E la Coop che detiene il 40% di Eataly Distribuzione cos pensa di tutto ciò?
Forse Confindustria potrebbe esimersi da fare un bilancio decisamente prematuro…
visto che l’ondata di nuovi ristoranti non è finita : Eataly ne apre altri 14 solo a giugno
e conferma di avere un “grande successo” ad Expo…
in 40 giorni Eataly ha fatturato 3,8 milioni di € sui 23 fatturati dai bar e ristoranti a Expo fino ad oggi e Lino Stoppani, presidente Epam , l’Associazione Provinciale Milanese dei Pubblici Esercizi, aderente ad Unione Confcommercio Milano, Lodi, Monza e Brianza, parla di “concorrenza devastante” , dei punti di ristoro Expo, per i ristoratori milanesi (v. il Corriere della Sera, sezione Milano, 20 giugno 2015).
I ristoranti di Oscar Farinetti all’Expo vendono una media di 700 coperti l’uno, al giorno, ognuno.
Sotto la cena a 10,90 di una struttura della GDO che ha poi chiuso, si può intuire perchè : costi alti, fatturato (scontrino) a pasto molto basso.
Con il contributo di Enrico Rizzi e Alessandra Dassori