Prima stesura del 28 novembre 2014, ultimo aggiornamento del 10 febbraio 2016
Questo articolo è il seguito di: Il Made in Italy può diventare un Marchio?
Dal 14 dicembre 2014 è scattata l’obbligatorietà di etichettatura delle denominazioni europee dei formaggi come feta e gorgonzola ma non della pasta.
Ma vediamo il contesto …
Stralcio di un articolo riportato su Agranews del 28 novembre 2014:
“Uno spazio speciale riservato alle aziende alimentari in vista dell’entrata in vigore del nuovo regolamento sull’etichettatura
(AGRA) – La XIX edizione dell’Osservatorio economico GS1 Italy | Indicod-Ecr, che ogni sei mesi dal 2005 rileva il sentiment delle imprese del largo consumo associate, registra una frenata in termini di percezioni e aspettative sul contesto economico, diffusa tra quasi tutte le diverse tipologie di imprese…
…In questa edizione dell’Osservatorio economico GS1 Italy | Indicod-Ecr ha voluto riservare uno spazio speciale alle aziende alimentari coinvolte nell’imminente entrata in vigore (14 dicembre 2014) del Reg. UE 1169/2011 sull’etichettatura dei prodotti alimentari: 9 aziende alimentari su 10 ne sono a conoscenza; alta la percentuale di chi ne conosce effettivamente anche i contenuti.
Tutte le aziende dichiarano essere al lavoro per mettere in regola le etichette dei prodotti ma, al momento, solo il 43% ritiene che i propri prodotti abbiano raggiunto una “buona” compatibilità con i requisiti richiesti”.
Quindi : molti parlano dell’etichettatura senza saperne un granchè e soprattutto senza sapere che i titoli sul Made in Italy de “Il Sole 24 ore” sono decisamente fuori luogo..
Confindustria, come ho spiegato e dimostrato precedentemente, si è occupata molto del “Made in Italy” ma solo del non food (mobili, vestiti, etc.)…
L’Industria della pasta non ha voluto l’etichettatura con la provenienza esatta del grano.
Quindi è perfettamente inutile attaccare la politica che, per una volta, non c’entra assolutamente niente.
Confindustria ha le sue responsabilità: come al solito, l’Italia, ai grandi appuntamenti (e questo era uno di quelli), si è presentata disunita.
In conclusione c’è da domandarsi se l’etichettatura chiara sugli alimenti non avrebbe giovato a tutti:
consumatori ma anche produttori..
Perché se Barilla ha deciso di entrare nel mercato cinese..
la pasta istantanea di Barilla per i mercati esteri
…La Cina non è un paese facile, come ho già avuto modo di spiegare nella conclusione di E-Commerce, Alibaba: più di 7 miliardi di vendite in un giorno!
E purtroppo per i produttori italiani, molto spesso i cinesi vincono perchè
“chi traina le vendite… sono i consumatori asiatici, per i quali Barilla è solo un produttore qualsiasi di noodle, per giunta cari..
e i cinesi potrebbero tentare di imitare il marchio Barilla e vendere pasta più scadente ad un prezzo più basso.
Era già successo a Ferrero con il Rocher (v. articolo del Corriere di seguito)..
Meglio prevenire che curare, dopo.
I produttori italiani potrebbero usare la denominazione IGP e valorizzare
1) le loro lavorazioni (IGP significa prodotto in una zona in Italia ma con la materia prima che potrebbe non essere italiana)
2) le tipologie di grano utilizzate che sono sicuramente migliori, ad esempio, di quelle dei produttori cinesi.
Se lo fà la Lidl con la sua pasta di Gragnano a marchio privato Italiamo possono sicuramente farlo Barilla o Agnesi.
N.B. : successivamente Lidl è stata multata dall’antitrust per pratiche commerciali sleali
Sarebbe sempre meglio che usare bandierine e/o cuoricini con il tricolore come fà , ad esempio, Agnesi (gruppo Colussi)
o Barilla
Questi simboli non valorizzano adeguatamente la pasta prodotta da produttori italiani e rischiano di creare confusione nella testa dei consumatori:
cosa distingue il tricolore della “passione italiana” di Agnesi dal tricolore delle salse Agnesi fatte al 100% con pomodoro italiano?
La confusione è alle stelle, ed è alimentata da produttori e distributori, con l’aiuto involontario del governo italiano, v. in proposito anche Esselunga, la GD, il tricolore e l’italian sounding
Con l’etichettatura chiara i produttori di pasta italiani potrebbero evitare questo genere di attacchi:
“In Italia un pacco di pasta su tre è prodotto con grano straniero”: blitz Coldiretti al porto di Bari
Agricoltori all’arrembaggio, a bordo di una goletta col simbolo dell’associazione, per raggiungere le navi che scaricano mais, soia e grano provenienti dall’estero. Emiliano: “Difenderemo i nostri prodotti”
09 febbraio 2016 , Affari e Finanza
E’ prodotto con grano straniero un pacco di pasta su tre, così come il 50 per cento del pane in vendita in Italia, ma i consumatori non lo possono sapere perché non è obbligatorio indicare la provenienza in etichetta. E’ quanto emerge da un’analisi della Coldiretti presentata in occasione della mobilitazione al porto di Bari con gli agricoltori all’arrembaggio delle navi che scaricano mais, soia e grano provenienti dall’estero per difendere il made in Italy alimentare.
I prezzi del grano duro in Italia nel 2016, rimarca la Coldiretti, sono crollati in un anno del 31 per cento, con valori al di sotto dei costi di produzione che mettono a rischio il futuro del granaio Italia, prodotto da 300 mila aziende agricole e un territorio di 2 milioni di ettari. L’Italia nel 2015, stima la Coldiretti, ha importato 4,8 milioni di tonnellate di frumento tenero, che coprono circa la metà del fabbisogno per la produzione di pane e biscotti, mentre sono 2,3 milioni le tonnellate di grano duro che arrivano dall’estero e che rappresentano il 40 per cento del fabbisogno per la pasta. Secondo la Coldiretti è il risultato di scelte poco lungimiranti fatte nel tempo da chi ha preferito fare acquisti speculativi sui mercati esteri di grano da ‘spacciare’ come pasta o pane made in Italy, per la mancanza dell’obbligo di indicare in etichetta la vera origine del grano impiegato.
Alla manifestazione è intervenuto il governatore pugliese Michele Emiliano, il quale ha ricordato che “attorno al grano è cresciuta un’intera civiltà, che non è fatta solo di economia, gastronomia o di particolare capacità produttiva ma è una storia di un intero mondo, che non può estinguersi per l’arrivo di alcune navi. Noi non contestiamo l’economia globale, dobbiamo cercare di starci dentro e di combattere contro regole che riteniamo inique. Però bisogna saper distinguere: se siamo davanti a un prodotto di qualità, se quel prodotto ha una denominazione d’origine, se ha qualità organolettiche di un certo tipo, c’è bisogno che il consumatore sia informato e che non rischi di mangiare pasta italiana fatta con un grano proveniente da Paesi non controllati”.
“Noi – ha concluso Emiliano – dobbiamo difendere il nostro grano, in particolare quello pugliese e quello lucano. Lo faremo con rispetto e con determinazione. Chi vuole la pasta italiana deve sapere che compra merce controllata, che ha particolare qualità e che è stata prodotta da persone perbene”. Sulla vicenda interviene l’Aidepi, l’associazione che riunisce i pastai italiani, sorpresa dal fatto che “si insinuino dubbi
sulla qualità e sulla tracciabilità del grano in arrivo al porto di Bari per sostenere battaglie ideologiche sull’indicazione in etichetta dell’origine delle materie prime, mettendo in dubbio in un sol colpo il sistema di controllo europeo e nazionale sulle merci importate, la trasparenza delle aziende pastaie italiane che operano anche da centinaia di anni sul territorio e la qualità della pasta che ogni giorno portiamo sulle tavole di tutto il mondo”.
Allegato finale
AVEVANO PRODOTTO UNA CONFEZIONE UGUALE AI FERRERO ROCHER
La Ferrero vince la causa in Cina, 07 aprile 2008
Aveva accusato di concorrenza sleale la Montresor
PECHINO – La Ferrero ha vinto la sua causa contro la cinese Montresor, che aveva accusato di concorrenza sleale. La Corte suprema di Pechino ha confermato la sentenza di secondo grado, nella quale la Montresor-Zhanjiagang Food veniva condannata a pagare un risarcimento simbolico alla Ferrero e le veniva imposto di sospendere le vendite e cambiare la confezione dei suoi cioccolatini «Tresor Doré», uguale a quella dei Ferrero Rocher dell’azienda italiana. La Montresor è stata anche condannata a pagare un risarcimento simbolico di 50 mila euro.
RINGRAZIAMENTI – L’amministratore delegato dell’azienda, Giovanni Ferrero, ha voluto chiamare personalmente l’ambasciatore d’Italia in Cina Riccardo Sessa per ringraziarlo del forte sostegno fornito dall’ambasciata nelle fasi processuali e non processuali della vicenda e assicurargli che la Ferrero si accinge a espandere la propria presenza in Cina. «È una vittoria importante per tutta l’industria italiana, dal momento che le copie di prodotti del made in Italy sono, purtroppo, un fenomeno diffuso», ha detto la Ferrero in una nota. «Il merito va dato all’ambasciata d’Italia a tutto il sistema Italia che, in questo caso, ha funzionato con grande sinergia, egregiamente coordinato dalla nostra diplomazia».
Un esempio di prodotto italian sounding della catena svizzera Migros:” l’ Espresso classico all’italiana”- con tanto di Corriere della Sera sulla confezione !- prodotto però in Svizzera