Rosaria Amato
Articolo da La Repubblica, Affari&Finanza, Economia Lavoro- 8 marzo 2021
La nuova occupazione: Seicento contratti pirata contro le regole sui rider
Sono quelli sottoscritti da organizzazioni sindacali minori e dalla dubbia rappresentatività che permettono però ad alcune aziende di imporre condizioni ancora più penalizzanti. Le norme allo studio.
Non si tratta di lavoro autonomo ma di collaborazione coordinata e continuativa, e pertanto i rider vanno assunti, sono le conclusioni della procura di Milano dopo una lunga indagine che ha coinvolto 60mila lavoratori delle principali piattaforme di consegna di cibo a domicilio.
Conclusioni che mettono sotto accusa l’unico contratto collettivo nazionale di categoria, quello sottoscritto da Assodelivery, la principale organizzazione datoriale, e dal sindacato Ugl, che inquadra invece i rider come lavoratori autonomi. E che fanno tornare alla ribalta la mai risolta questione dei contratti “pirata” cioè sottoscritti da organizzazioni prive di rappresentatività e che in molti casi hanno il solo obiettivo di permettere a poche aziende di fare “dumping” ai danni dei lavoratori, offrendo loro stipendi e soprattutto condizioni generali decisamente deteriori rispetto a quelle garantite dai principali contratti collettivi di lavoro.
I contratti depositati al Cnel sono passati dai 551 del 2012 ai 935 del 2020 si calcola che circa 600 siano contratti “pirata”.

Tra questi però non c’è quello dei rider, obietta il giuslavorista Gabriele Fava, che ha anche contribuito a redigerlo:
«il contratto collettivo è stato da più parti attaccato poiché ritenuto a torto “pirata”. Tale critica si basa sul fatto che tra i sindacati dei lavoratori firmatari non figurano Cgil, Cisl e Uil. Ma questo non significa che sia stato sottoscritto da sigle sindacali prive della benché minima rappresentanza sindacale. Nel settore del food delivery tramite piattaforma Ugl è stata l’unica organizzazione che ha deciso di dotarsi di una rappresentanza specificatamente dedicata ai rider». Fava difende anche le scelte dell’ inquadramento come lavoro autonomo : «i rider non hanno alcun obbligo di effettuare la prestazione, né il committente può richiederla: è ammessa la multi-committenza e gli orari sono stabiliti autonomamente dai lavoratori».
Un criterio contestato radicalmente da Cgil, Cisl e Uil: « Nel nostro contratto della logistica i rider hanno il profilo di lavoratori subordinati, – dice Tania Sacchetti, segretaria confederale Cgil – come del resto li qualificano la maggior parte delle sentenze. Anche il Jobs Act li considera come lavoratori a cui si debba applicare la disciplina della subordinazione. Noi contestiamo il contratto Ugl sui rider sia dal punto di vista del metodo (non sufficiente rappresentatività) che del merito».

La vertenza si risolverà davanti al giudice del lavoro. Mentre appare di molto più difficile soluzione la questione dei contratti pirata. «Per noi l’intervento pubblico è ineludibile. – afferma Sacchetti – il legislatore deve stabilire un modo di misurare la rappresentanza contrattuale anche nel settore privato, così come avvenuto nel pubblico». il problema è che il privato sfugge a qualsiasi misurazione, spiega Silvia Ciucciovino, giuslavorista e Consigliere Esperto del Cnel: «È estremamente difficile definire il perimetro delle categorie. Per esempio i rider sono una categoria a sé stante o rientrano in quella più ampia della logistica? E quindi non si può stabilire neanche la rappresentatività. La questione non riguarda tanto i sindacati ultimamente, quanto le organizzazioni datoriali. Ne sa qualcosa Confcommercio, che sigla due tra i principali contratti del terziario (testi identici uno con Cgil Cisl e Uil e l’altro con Ugl) ma si vede assediata dalla concorrenza sleale di circa 250 “contrattini” del terziario con clausole al ribasso: «il nostro contratto viene applicato al 90% dei lavoratori e l’ 80% delle imprese del terziario – spiega Guido Lazzarelli, direttore Lavoro e Welfare di Confcommercio – Tutti gli altri riguardano una quota che va dal 5 al 7%. Soprattutto da Roma in giù è una fatica per i nostri colleghi mantenere la sfera di applicazione del contratto. E abbiamo ormai smesso di fare i segugi di tutte le organizzazioni costituite magari per asso lo studio di un avvocato, solo allo scopo di offrire condizioni più favorevoli alle imprese».
Del resto, ricorda Ilario Alvino, giuslavorista, «il nostro sistema sindacale si fonda sul principio di libertà del nostro Paese tutti i sindacati hanno legittimazione a firmare un contratto collettivo. E l’accordo interconfederale Confindustria Cgil Cisl Uil 9 Marzo 2018, che poneva la soglia di accesso del 5%, si è rivelato inapplicabile, perché non esiste un sistema di misurazione». Negli ultimi due anni il Cnel ha messo a punto un sistema organizzato e digitale di catalogazione dei contratti. – afferma Ciucciovino – Ci siamo coordinati con l’Inps, li abbiamo suddivisi per categorie. Da un anno e mezzo abbiamo aperto un tavolo sulla misurazione della rappresentatività. Una via d’uscita potrebbe essere di affidare a un terzo il compito di sciogliere i conflitti». Una questione da risolvere , per tutti i lavoratori che si vedono negati diritti fondamentali in nome di contratti che spesso hanno solo la parvenza di legalità.




