Dieci grandi gruppi a livello mondiale detengono il 70% del mercato delle sementi.
I primi tre grandi gruppi, Monsanto, Du Pont e Syngenta lo dominano in modo assolutamente incontrastato con un 53% di quota.
I dati qui sopra sono tratti dalle fonti citate solo per dare un’ordine di grandezza del mercato, degli attori in campo e sono del settembre 2013.
Questi gruppi, per eliminare parassiti e virus , incrociano le sementi e le trattano con pesticidi , in fabbrica , quando fanno le selezioni, in modo da evitare rischi economici -ovverosia di dover buttar via delle partite di piante cresciute male- e creare semi “puri”.
Questi semi sono sterili e coperti da brevetto, devono quindi essere ricomprati ogni anno dai contadini.
La tedesca Anja Glucklich è andata a verificare l’accaduto e ha scovato in Europa gli agricoltori che si stanno ribellando a questa impostazione.
Questi ultimi stanno cercando di usare sementi naturali, molto spesso bio, non incrociate e non trattate con prodotti chimici ma che hanno proprietà di gusto e nutrizionali decisamente superiori a quelle che si trovano abitualmente nella Grande Distribuzione.
Ne è nato un documentario molto interessante Semences les gardiens de la biodiversité
in italiano : Semi, i guardiani della biodiversità , di ZDF (Germania) e ARTE (Francia), che è andato in onda su ARTE venerdì 14 marzo 2014, sulla filiera della zucchina.
I contadini del “Rèseau Sèmences Paysannes” ( Rete sementi agricole) denunciano sostanzialmente due cose sui test (*) europei che vengono effettuati per dare la validazione ai nuovi ortaggi nella UE:
a) la UE non tiene conto del sapore delle zucchine.
b) il criterio di “omogeneità” (**) fa si che molti ortaggi buoni e saporiti non vengano presi in considerazione dall’Europa.
Ciò rischia di favorire ulteriormente le multinazionali delle sementi.
(*) la vendita delle sementi non è libera nella UE, ogni nuova specie deve ottenere un’autorizzazione
(**) tutta la frutta e verdura che riceve l’ok dalla UE deve avere le stesse misure .
Questa omogeneizzazione si chiama calibratura, spesso presente sui cartellini dei banchi frutta e verdura dei supermercati, oltre all’indicazione della categoria: prima, seconda, etc..
Vedi cartellino sopra e il cartellino dei fiori di zucca della Conad sotto
Sempre in tema di qualità degli alimenti e di documentari sul cibo è da segnalare un altro film sui rapporti GD – Industria dal titolo :
“Grande Distribuzione: promozioni, prezzi stracciati, chi paga il conto?” v. articolo in francese sotto, che fa riflettere su scandali recenti, come quello della carne di cavallo al posto del manzo, avvenuto appena un anno fa e sugli stratagemmi – che molto spesso vanno oltre il limite estremo della legalità- usati dai fornitori per venire incontro alle richieste di Carrefour, Auchan, o Leclerc, che nella loro continua lotta ai ribassi di prezzo finiscono per creare danni a tutta la società.
E Come per il prezzo del latte, il dibattito si fa attraverso articoli, documentari e anche pubblicità.
Qui di seguito Système U, catena della GD francese, lancia il messaggio seguente:
” Si possono fare prezzi bassi senza spremere le piccole medie imprese (Petites Moyennes Entreprises)?”
e la risposta sta di seguito, nella stessa pagina:
“Per proporre dei prezzi bassi, certe insegne impongono dei grossi sforzi alle piccole medie imprese, prime vittime della guerra dei prezzi. Noi di U pensiamo che ci siano altre soluzioni.
L’81% dei nostri prodotti alimentari sono fatti con 600 fornitori francesi, abbiamo dimostrato da tempo che vogliamo sostenere il lavoro in Francia.
E per far si che il commercio porti dei benefici a tutti, sviluppiamo delle collaborazioni che vogliono come noi il meglio, al miglior prezzo possibile.
Queste collaborazioni- come quelle stabilite nel settore del latte e del maiale – offrono una remunerazione giusta e una buona visibilità anche sugli ordini che garantiamo ai nostri fornitori.
E’ in questo modo che possiamo elaborare dei prodotti di qualità, innovativi, sempre ad un prezzo basso.
La prova ne è con le centinaia di prodotti a meno di 1 € che trovate ogni giorno da U.
Dei prezzi così buoni per Voi e per il lavoro, non li troverete più bassi”
Da italiani, ci si domanda: a quando sulle nostre televisioni o sui nostri giornali dei dibattiti di questo genere?
Anche perchè attraverso titoli come quello che segue ( ” crescono le famiglie che scelgono i discount…”)
il segnale che la Grande Distribuzione potrebbe ricevere è che:
“dobbiamo abbassare i prezzi e quindi anche la qualità dei nostri prodotti..”,
Come ho già avuto modo di dire più volte, questo messaggio sarebbe, secondo me, errato:
la qualità deve venire prima del prezzo, come mi aveva insegnato Juan Roig, proprietario dei supermercati ad insegna Mercadona , con un’impostazione discount ma con prodotti di qualità.
Purtroppo alcune catene di discount ragionano in modo opposto: conta prima il prezzo e poi cosa c’è dentro ai prodotti.
E c’è il rischio che, prima o poi, alcuni altri attori del mercato (supermercati o ipermercati) le seguano, magari senza successo, come sta avvenendo per Mc Donald’s, che ha trovato sulla fascia bassa del mercato dei concorrenti molto agguerriti, che – nonostante le sue proposte molto basse, i DOLLAR MENU – le stanno portando via clienti (fonte articolo sotto: SETTE, 28 marzo 2014).
Effettivamente è difficile fare il discount e la “boutique” di alto livello, in contemporanea… :
Mercadona fa il supermercato discount (no volantini, prezzi bassi tutto l’anno, no carte fedeltà, pochissimo servizio),
Whole Foods fa lo specialista del bio e affini,
Carrefour fa gli iper,
Aldi fa i discount, etc.
A Milano si dice: “Ofelè fa il to mestè”.
Questo è il contesto di crisi e di peggioramento della qualità dei prodotti alimentari, nel quale l’avvertimento lucido ed intelligente di Roberto Moncalvo di Coldiretti sulla mancanza di trasparenza nell’etichettatura degli alimenti (*) e sui rischi reali d’ infiltrazione della mafia nel settore del cibo sembra essere, purtroppo, assolutamente isolato.
(*) Made in Italy reale nel cibo vuol dire spesso e volentieri maggior freschezza, non fosse altro perché i luoghi di produzione e /o di raccolta degli alimenti sono meno distanti .
Le problematiche legate al cibo dovrebbero riguardare prima di tutto i giornalisti e poi tutti noi perchè – parafrasando Ludwig Fuerbach – siamo quel che mangiamo.
E, tornando alle sementi, catene che vorrebbero essere o sono più etiche di altre, come la Coop, la Conad in Italia , o Eataly, potrebbero sicuramente trovare il modo di aiutare questi contadini nella loro lotta per prodotti meno omogenei ma più buoni.
Sicuramente aiuterebbero se stesse, noi ed i nostri figli.
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