Lo abbiamo già detto in tutti i modi: la qualità del cibo sta peggiorando. Quali sono le cause ed i segnali di questo deterioramento?
- l’inflazione, in accoppiata con il cambiamento climatico, che rischia di far diventare prodotti di lusso beni che prima erano accessibili a tutti (es.: caffè, cioccolata ma anche frutta e verdura).
- la discountizzazione, in progressione da anni.
- la grammatura dei prodotti
- abbassamento del controllo della qualità, con l’apparizione , ad esempio di casi di listeria e salmonella.
- la sostituzione di prodotti buoni con prodotti di qualità inferiore: è il caso dell’olio extra vergine di oliva che si trova nei supermercati o al ristorante, in Italia, è molto spesso pessimo e purtroppo, viene – al contrario di riso e passata di pomodoro, vedi i dati nell’articolo sotto – considerato sostituibile dagli italiani.
E la Spagna che già domina il mercato farà sempre di più quello che vuole, in Italia., anche perchè, dopo essersi imposta in “casa nostra” vede la sua produzione condizionata dal cambiamento climatico.
I sogni di sovranismo possono essere riposti nel cassetto, almeno per l’olio che però con pasta, pane, vino dovrebbe essere uno dei beni simbolo del Made in Italy alimentare.
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LA RILEVAZIONE
Gli italiani e il carovita alcolici no, petcare sì
Ecco a cosa si è rinunciato di più e di meno nel carrello della spesa dall’inizio dell’anno per colpa degli aumenti legati all’inflazione
Marco Frojo
L’ inflazione ha colpito tutti i prodotti presenti sugli scaffali dei supermercati, ma non tutti i consumatori hanno reagito allo stesso modo. Alcuni articoli sono continuati a finire nei carrelli, altri invece sono rimasti al loro posto. Chi acquista li ha selezionati in base alle proprie esigenze, mostrando chiaramente quali ritiene quelli “incomprimibili” e quali invece possono essere ridotti per far quadrare il bilancio famigliare. Circana ha provato ad indagare queste dinamiche e le conclusioni a cui è arrivata riservano alcune sorprese. Per esempio, i prodotti a cui gli italiani non sono disposti a rinunciare per nessun motivo al mondo sono quelli per i propri animali domestici, mentre non c’è altrettanta urgenza di acquistare le bevande alcoliche. Questa scelta potrebbe sembrar dettata da ragioni salutistiche, ma molto probabilmente le cose non stanno così, perché anche l’ortofrutta è rimasta vittima dell’inflazione.
Per arrivare a queste conclusioni gli analisti di Circana hanno raggruppato le 467 categorie della classificazione Ecr che compongono il largo consumo confezionato per classi di crescita dei prezzi nel luglio scorso. Per ogni classe è stato calcolato il corrispondente andamento delle vendite a volume, espresse come vendite a valore a prezzi costanti. Complessivamente l’analisi ha evidenziato, come era lecito attendersi, un progressivo calo degli acquisti al crescere dei prezzi, ma ha anche individuato una soglia critica, quella del 20%. Ovvero quando l’inflazione di un determinato prodotto supera il 20%, i volumi fanno registrare un deciso crollo (meno 6,2%). Nella forchetta di inflazione compresa fra il 15% e il 20% la diminuzione dei volumi scende al 3,2%, non molto distante da quelle delle forchette 10-15% (meno 2,8%) e 5-10% (meno 2,2%). Nel range 5-15% di inflazione, dunque, il calo dei volumi si fa sentire ma non è drammatico. I prodotti infine che sono riusciti a contenere l’inflazione sotto il 5% non hanno invece praticamente perso volumi di vendita (meno 0,3%).
Complessivamente l’analisi ha messo evidenza “una tangibile sensibilità al prezzo, anche a livello aggregato, cioè anche al netto delle sostituzioni di acquisto fra marchi e canali all’interno delle singole categorie merceologiche — scrivono gli analisti della società specializzata in analisi di mercato — A fronte dei rincari, si sono aperte perciò delle crepe nella resilienza delle famiglie che aveva caratterizzato l’anno scorso”.
Dietro al petcare, che è l’unica categoria che è riuscita a sottrarsi allo “sciopero” dei consumatori nonostante un forte rialzo dei prezzi (più 16%), troviamo la drogheria alimentare che, nonostante un balzo dei cartellini del 14%, ha praticamente mantenuto i volumi di un anno fa. All’altro capo della classifica, ovvero fra le macro-categorie maggiormente penalizzate dal carovita, ci sono i gelati, i surgelati, le bevande analcoliche, le birre e, come visto, le bevande alcoliche. Queste ultime hanno sofferto un calo dei volumi di quasi il 5% nonostante la loro inflazione sia risultata relativamente “bassa” (più 7,5%). Sulle bevande analcoliche e sui gelati hanno invece pesato rialzi dei prezzi superiori al 12% e un inizio ritardato dell’estate solo in parte compensato dalle due settimane “bollenti” di luglio. Fra i “perdenti”, ovvero con cali di volumi nell’ordine del 4%, vanno annoverati anche il Cura casa e il Cura persona.
Circana precisa che la sua analisi fa riferimento alla correlazione e non all’elasticità, quindi i numeri illustrati non esprimono la reattività della domanda aggregata agli aumenti di prezzo, perché non isolano tutti i fattori che influenzano gli acquisti. Tuttavia l’analisi di correlazione è una cartina di tornasole che conferma l’esistenza di diffusi comportamenti di riduzione dei volumi acquistati a fronte della salita dei prezzi, anche a livello di totali di categoria. “Se andassimo più in profondità nell’analisi del rapporto fra trend di prezzi e domanda a volume separatamente per macro-reparti, otterremmo una profilatura molto diversa fra le differenti voci che compongono il carrello della spesa — si legge nel documento — Infatti, la maggiore reattività al prezzo delle bevande individuata dall’analisi delle correlazioni è da ricercare soprattutto nelle categorie che hanno trasferito i rincari più forti. Molto simile il riscontro anche per il Cura persona, i cui volumi soffrono significativamente quando i rincari superano il 15%”. Risulta invece più graduale la “curva” degli alimentari, ma anche su questo fronte si nota un accentuarsi della reazione a contrarre gli acquisti quando i rialzi sono più marcati.
Da ultimo, l’analisi di Circana si è concentrata sui singoli prodotti e anche qui sono emerse alcune sorprese, a partire dal fatto che, a fronte dei più importanti rialzi dei prezzi, è corrisposto un calo molto contenuto dei volumi, se non addirittura un aumento. È questo il caso della passata di pomodoro (più 21,2% i prezzi e più 4,8% i volumi), dello zucchero (più 44,1% i prezzi e meno 1,2% i volumi) e del riso (più 33,2% i prezzi e meno 2,1% i volumi). Le cose sono andate in maniera ben differente per l’olio extra vergine di oliva che, a fronte di un aumento dei prezzi di vendita del 29,9%, ha visto i volumi crollare del 10,6%.



