Aprile 2020. Conosco Giuseppe Caprotti da alcuni decenni. Abbiamo vissuto gli stessi anni del boom dei supermercati e dei suoi superstore. Abbiamo dialogato, prima su MarkUp, poi su GdoWeek e infine su RetailWatch. Dialogare significa scambiarsi idee e progetti, discutere. Con la sua uscita da Esselunga nel 2004, il confronto si è infittito, poco ufficialmente, molto ufficiosamente. Quasi sempre davanti a un caffè, sempre nella solita cafeteria dietro a Piazza San Babila. Ho cercato di capire prima il manager, l’imprenditore, figlio di imprenditori e devo dire che alcune volte mi sono immedesimato nelle sue scelte, nel suo operato, per capire. Poi ho cercato di conoscere l’uomo. Su di lui ne ho sentite tante, opinioni le più svariate, alcune cattive, cattivissime. Alcune volte ho cercato di contrastarle, ma senza successo: il passa parola negativo, dopo l’uscita da Esselunga, è stato quasi sempre rovinoso. Prima ad osannarlo per ricavare o tentare di ricavare qualcosa, poi il buio. Gli sono stato amico nonostante tutto, nonostante i giudizi molte volte a papera, ripetuti perché sentiti o immaginati, perché così fan tutti.
Alla fine del deal, dell’accordo fra gli avvocati, per la vendita delle sue azioni in Esselunga, gli ho chiesto alcuni pareri. Come sempre mi ha risposto. Questa volta, con il #coronavirus, lo abbiamo fatto per iscritto, non potendoci vedere di persona. Sono pensieri importanti per l’uomo e per il manager, Giuseppe Caprotti, chi conosce un po’ della sua storia, capisce bene le risposte e cosa c’è dietro: una passione che non ha mai smesso di esercitare, un interesse caparbio, macro e micro, per il mondo della GDO e del largo consumo.
Ecco le sue risposte.
Giuseppe. come vivi questo momento di distacco, ormai irreversibile, con Esselunga?
Sono nato con Esselunga: da piccolo assaggiavo i prodotti a casa, a pranzo e a cena. Soprattutto i prodotti delle campagne regionali (Puglia, Sardegna, Sicilia, etc). Ma anche carne, gelati, vino e altro ancora. Ricordo le campagne degli anni ’60 (come le mille lire lunghe e tante altre..). I weekend andavamo a far passeggiare il cane vicino al magazzino di Limito in costruzione. E la sera – ogni tanto – mio padre (ndr: Bernardo Caprotti) riceveva le telefonate dei direttori per le rapine. Poi andavo a fare la spesa con mia madre al supermercato di Viale Regina Giovanna a Milano, il primo aperto, in assoluto nel 1957. A seguire ci sono stati gli anni di piombo con, ad esempio, gli espropri proletari e gli scioperi continui (alcuni, più tardi, li ho subiti anch’io, personalmente). E infine negli anni’80 siamo entrati in azienda, Violetta ed io, portando una ventata di aria fresca di idee e di novità.
Cosa avete fatto in azienda tu e Violetta?
La Fidaty, le campagne dell’Armando Testa sulla qualità, il biologico, la contabilità industriale (gestione dei costi e della reddittività dei prodotti), i superstore con il non food e i servizi, l’e-commerce, l’ufficio marketing, l’ufficio stampa, gli Esselunga sottocasa (le superette), la scuola di formazione del personale e tante altre cose ancora. A fine anni ’90 la reddittività di Esselunga era raddoppiata, grazie anche ad una politica commerciale molto più aggressiva e alla centrale di acquisti ESD, co-fondata con Riccardo Francioni di Selex (con più contributi dei fornitori).
Tabella : analisi da bilanci
Il distacco è emotivamente difficile, come è ovvio che sia. Hai dei rimpianti?
Certamente. Aver visto entrare Amazon nel mercato italiano così facilmente mi è dispiaciuto. Era uno spazio che poteva essere facilmente essere occupato da Esselunga e da altri distributori italiani.
Poi mi è sicuramente dispiaciuto veder Esselunga perdere il vantaggio competitivo della differenziazione rispetto al resto del mercato: il biologico doveva essere “cosa nostra”. Ciò vale per tutta la fascia alta del mercato : l’operazione Viaggiator Goloso fatta da Mario Gasbarrino in U2-Unes avrebbe dovuto farla, secondo me, ancora una volta, Esselunga. Anche perché i nostri prodotti di primo prezzo, con il marchio Fidel, erano di qualità
Cosa vedi nel futuro della GDO?
Con la pandemia si assisterà ad una “discountizzazione” totale.
Rimarrai nel settore della distribuzione?
Non so, dipenderà da:
- eventuali opportunità.
Il 17 marzo ho istituito un fondo di 10 milioni per combattere il coronavirus, nel frattempo sono diventato presidente della Fondazione Guido Venosta che porta il nome del mio nonno materno: lì finiranno i fondi che non ho ancora allocato per iniziative contro la malattia. Sto valutando vari progetti scientifici e di solidarietà. Poi si vedrà.
- Se la distribuzione riuscirà ad essere un po’ più unita e anche più “etica”: schiacciare i piccoli e medi produttori agricoli o trasformatori, non credo sia la strada “giusta” perché impoverisce tutti: produttori e distributori.
Mi piacerebbe abbracciare un progetto che valorizzi le filiere agroalimentari italiane.