Alessandro Baricco , a proposito de “L’Impero irresistible. La società dei consumi americana alla conquista del mondo”, Einaudi 2005, della storica italo-americana Victoria De Grazia in Una certa idea di mondo, 2012 (La Repubblica).
“Magari per andare al cinema, ma una volta cercavo solo sei bicchieri da vino, e l’altro ieri un rastrello: si finisce in questi enormi centri commerciali che sono dei mondi, intubati in strutture architettoniche insignificanti , rutilanti di di un’umanità mista, dalla felicità indecifrabile , dalla disperazione illeggibile. Come si sa, io detesto gli apocalittici da sofà, per cui mi spiace perfino un pò registrarlo, ma certo che davanti a quello spettacolo uno ha l’insopprimibile istinto a pensare a un disastro. Poi ci si ragiona su, e le cose vanno più o meno a posto: ma certo che, sulle prime, quel che uno finisce per chiedersi è quando diavolo ci siamo distratti e abbiamo permesso che tutto iniziasse. Che giorno era precisamente.
Io ho letto L’impero irresistibile e quindi lo so. il giorno no, ma l’anno sì. 1957. L’anno in cui un certo Richard W. Boogart iniziò a setacciare Milano in cerca del posto giusto per mettere su quella che, al momento, era un’utopia e, col tempo, divenne l’inizio di tutto: il primo supermercato europeo. Lui, Boogart, veniva dal Kansas, lavorava per Rockefeller, e, a casa sua, girava in Cadillac e cappello da cowboy. Milano se la girò a piedi o, quando andava bene, in 500. Lavorò come una bestia, lui e i suoi, per mesi, ma alla fine il suo supermercato riuscì ad aprirlo. Qualche anno, e sarebbe diventato il famoso Esselunga.
Ora, per comprendere a pieno la portata dell’evento, è necessario immaginare l’effetto che un supermercato poteva avere, ai tempi, in un mondo senza supermercati. Vi aiuto: nei supermercati ti prendevi le cose da solo. Era una cosa talmente assurda che per definirla bisognava usare un’espressione americana: self service. In teoria, era un passo indietro: invece che essere servito, dovevi fare da te, senza che nessuno spiegasse niente, spingendo pure un carrello: ancora un pò e ti facevano fare le pulizie. Non ti portavano la spesa a casa, non ti salutavano per nome, non sapevano i tuoi gusti. Quindi sulla carta una cavolata. tuttavia i prezzi erano un pò più bassi, gli scaffali pieni di prodotti, la luce ben studiata, la disposizione delle merci piuttosto spettacolare. Il carrello scivolava bene sul pavimento pulito, e per qualche ragione non capivi, ma che doveva risalire a qualche bella pubblicità o addirittura a un film americano visto una domenica, tu ti sentivi piuttosto figo, nello spingerlo, e improvvisamente così autonomo nel fermarti qua e non là, nel prendere questo invece che quello, e forse addirittura libero (sì libero), un cittadino libero di scegliere quello che voleva, e capace di farlo. Fare la spesa diventava una specie di esercizio divertente esercizio di modernità, di intelligenza, di indipendenza e di democrazia.
Le cronache dicono che i primi tempi furono comunque difficili, perchè gli italiani si dimostrarono più poveri e meno malleabili del previsto. Ma, rimpiccioliti i carrelli e aggiunti qua e là un settore gelati e una friggitoria, le cose iniziarono a marciare in modo inarrestabile. Richard W. Boogart pensò che ce l’aveva fatta quando, sulle ali dell’entusiasmo, un ospizio, a Firenze, portò sette ciechi a “vedere” un suo supermercato. Partita vinta. Da lì, la progressione fu inarrestabile: il primo ipermercato europeo è del ’63 (un Carrefour in Francia); un anno dopo, in un posticino vicino a Francoforte, aprì il primo centro commerciale che non fosse sul suolo americano. E così si ritorna a me che vado a comprare sei bicchieri di vino, alla sensazione di disastro, ecc. ecc.
Si dirà ma nessuno intuì i rischi della cosa? Anche su questo il libri della de Grazia è molto istruttivo. Quando Boogart aprì i suoi supermercati si trovò un sacco di gente contro. Molti difendevano i loro interessi (il macellaio dell’angolo), molti cercavano un tornaconto (tipico vezzo italiano) e molti intuivano le implicazioni ideologiche, cioè l’avanzata silenziosa del modello culturale americano…Tuttavia, nessuno riusciva a trovare degli argomenti davvero convincenti contro i supermercati. I comunisti, che pure erano abili in quel genere di cose, non riuscirono a trovare niente di meglio che denunciare come, non facendo credito, i supermercati discriminassero i più poveri, quelli che dal pizzicagnolo pagavano quando potevano: un pò poco per fermare la marea della modernità. Così, l’assurda idea del supermercato si rivelò una mossa per cui non c’erano risposte, e alla lunga una delle mosse che portarono gli stati Uniti a vincere la partita culturale ed economica che si giocarono con noi sulla scacchiera dell’Europa. Quella partita è ormai scritta nella storia , e ripercorrerla, come fa questo libro, significa capire come l’invenzione del Rotary, della lavatrice, dei detersivi, del western, della pubblicità e del 3X2 siano solo pezzi bianchi manovrati da una specie di giocatore invisibile, che tuttavia sapeva cosa stava facendo, e che non si sarebbe fermato fino a quando non avrebbe vinto.
Che poi abbia vinto davvero, be’, questa è un’altra storia”.
Alessandro Baricco
Grazie a Caroline Stefani
Gli articoli su questo sito che parlano dell’impronta degli americani sugli esordi di Esselunga sono:
La nascita dei prodotti a marchio privato in Italia
Esselunga dal 1957 agli inizi degli anni ’90 nei ricordi del figlio di un droghiere
Esselunga, Ferdinando Schiavoni, l’Indicod e molte altre cose ancora
Gli americani hanno poi, nel tempo, avuto grande influenza sull’informatizzazione di Esselunga, sulla nascita della Fidaty e sull’adozione del format prediletto attualmente da Esselunga: il superstore
Per quanto riguarda i manager e gli imprenditori italiani Ferdinando Schiavoni era “l’uomo degli americani” , il braccio destro del primo a.d. Boogart fin dal 1957, Claudio Caprotti entrò in azienda nel 1961, Paolo De Gennis nel 1962 e Bernardo Caprotti nel 1965.
Sopra : la facciata del primo supermercato Esselunga in viale Regina Giovanna, dove andavo a fare la spesa con la mia mamma e sotto una pubblicità degli esordi.



