“Era stata la mia promessa, e siamo riusciti a mantenerla”. La voce di Giuseppe Caprotti è la stessa di sempre, tranquilla e ironica. Il primogenito di Bernardo Caprotti ha appena firmato i documenti che chiudono una tormentata fase nella storia dell’Esselunga, la prima catena di supermercati nata in Italia e, da tempo, una delle più redditizie d’Europa. Giuseppe e la sorella Violetta hanno ceduto il 30 per cento della holding Supermarket Italiani che il papà aveva lasciato loro, destinando invece la maggioranza del 70 per cento alla seconda moglie Giuliana Albera e alla terza figlia Marina Sylvia. Giuseppe e Violetta incasseranno 915 milioni di euro a testa, che si sommano ai 321 milioni ciascuno che erano stati loro versati nel 2017 per cedere il 45 per cento che avevano ricevuto nell’altra società di famiglia, l’immobiliare La Villata, dove sono custoditi gli edifici che ospitano gran parte dei supermercati. La firma chiude una questione ereditaria che avrebbe potuto diventare esplosiva, e che ha comunque richiesto tre anni e mezzo di tempo e numerosi colpi di scena per arrivare al dunque. Giuseppe, 59 anni, ne parla per la prima volta, partendo proprio dalle parole che pronunciò a caldo il 5 ottobre 2016, uscendo dagli uffici del notaio dove il testamento era stato appena aperto: “Faremo di tutto per salvaguardare l’azienda”, aveva detto.
Perché quelle parole?
“Le aziende sono fatte di persone e, avendo lavorato in Esselunga per vent’anni, la mia preoccupazione era salvaguardare l’azienda e i 24 mila collaboratori che ci lavorano. Non è un mistero che la nostra famiglia abbia vissuto una guerra continua fin dal 1972, dal tempo dei litigi fra Bernardo e i miei zii. Andare ancora avanti così avrebbe finito inevitabilmente per destabilizzare l’azienda”.
C’erano elementi per impugnare il testamento?
“Probabilmente sì, ma adesso che importanza ha? Oggettivamente si può dire che Violetta ed io non avevamo diritti di governance, nemmeno un rappresentante in cda e nessun dividendo. Essere azionisti di minoranza in società non quotate può essere molto spiacevole: ricordo ad esempio che Esselunga ha detenuto per molti anni una quota del 25 per cento nella catena Il Gigante, senza alcun posto in cda e senza ricevere mai un dividendo”.
È vero che la sua quota delle tasse di successione ammontava a 25,4 milioni ? E che la difficoltà a pagarle rischiava di impedirle di entrare in possesso delle azioni?
“Se non avessimo fatto il primo accordo del 2017 non avrei saputo come fare: non ho nessuna difficoltà a dire che all’epoca ero parecchio esposto con le banche e le azioni, per disposizioni paterne, non potevano essere messe a pegno”.
Come arrivaste a quell’accordo?
“Telefonai a Giuliana, ci incontrammo noi due a Milano, all’hotel Palazzo Parigi, e decidemmo di non mettere di mezzo gli avvocati finché non avessimo raggiunto un accordo di massima. Non volevo rovinarmi ulteriormente la vita. Vivo con gli avvocati dal 2004, quando mio padre decise di esautorarmi dal ruolo di amministratore delegato di Esselunga”.
L’accordo del 2017 prevedeva che le quote sue e di Violetta avrebbero potuto essere liquidate attraverso la quotazione in Borsa di Esselunga, da effettuarsi entro il 2021. Perché quel progetto fu abbandonato?
“Non lo so. Era una delle opzioni, insieme alla possibilità di trovare un’intesa sul prezzo – una strada che non è nemmeno stata tentata dalle azioniste di maggioranza – e all’esercizio dell’opzione di acquisto da parte loro, come poi hanno deciso di fare. Noi eravamo legalmente obbligati ad accettare tale metodo”.
Come vi fu comunicato?
” Prima siamo stati approcciati separatamente. Lo interpretammo come un tentativo di dividerci ma gli è andata male perché l’unità e l’affetto fra me e mia sorella Violetta ci hanno premiato. Poi nel gennaio 2019 ci mandarono una breve lettera, senza alcuna indicazione di prezzo”.
Circolavano indiscrezioni che indicavano il valore complessivo di Esselunga nell’ordine di 4-4,5 miliardi. Alla fine, invece, l’arbitrato l’ha stabilito in 6,1 miliardi. Che cosa ha giocato a vostro favore?
“Nel 2002 Esselunga era già seconda per vendite al metro in Europa, dietro a Sainsbury’s. Questo risultato era il frutto di un lungo percorso: l’impostazione industriale degli americani di Nelson Rockefeller che la gestirono fino al 1965, creando ad esempio i primi prodotti a marchio privato in Italia, la genialità di Bernardo in mille cose : dalla scelta dei siti dei supermercati, all’organizzazione del lavoro, l’adozione del codice a barre, il puntare – primo tra tutti – sui freschi, fino alla fine degli anni Ottanta. Ma anch’io penso di aver dato un grosso contributo. Ricordo una giornata all’inizio degli anni Novanta. Eravamo nel tinello di casa, a Milano, e mio padre mi chiese: “Di cosa vuoi occuparti?”. “Del commerciale e del marketing”, risposi”.
Si occupava lui anche di quello?
“Sì, con il suo braccio destro Ferdinando Schiavoni lo aveva fatto per tanti anni, curando la qualità dei prodotti. Ma gli piaceva di più il mattone, lo sviluppo e la costruzione degli edifici. Me lo disse e così fu, per tanti anni. Diedi la mia impronta disegnando l’assetto interno dei superstore e riempiendoli di prodotti e servizi – frutta e verdura sfusa, formaggi e salumi confezionati per noi, enoteche, giornali e libri, bar, profumerie – rendendoli simili a quelli dell’americana Dominick’s, dove avevo lavorato due anni. Lui sceglieva i siti, li costruiva e io li riempivo. Grazie alle sue pratiche di contenimento dei costi e agli immobili che costruiva, al “category management” da me importato dagli Stati Uniti e alle negoziazioni aggressive con i fornitori, raddoppiai la redditività di Esselunga. Anche la carta Fidaty fu un’operazione familiare, impostata da Violetta e da me, come le pubblicità di Armando Testa e il lancio di molti prodotti a marchio privato come Naturama e Esselunga Bio, che arrivarono sugli scaffali in quegli anni.”.
Ci furono anche litigi.
“Eravamo una famiglia e anche un team, anche se non condividevamo tutto: lui digerì male la mia impostazione dei bar – li volevo con postazione Internet e prodotti biologici – o l’e-commerce. Ma i bar ci sono ancora, diversi ma ci sono. E l’e-commerce, partito nel 2001, è stato molto criticato ma oggi, guardando le valutazioni raggiunte dalla britannica Ocado, si può dire che soltanto questo ramo di attività in Esselunga valga oltre un miliardo di euro. Credo che la pandemia contribuirà a favorire sempre più questo fenomeno”.
“È vero che, anche di recente, sono arrivate offerte d’acquisto per il gruppo a prezzi superiori a 6,1 miliardi?
“Sì, nel 2017 ne arrivò una da 7,3 miliardi da un gruppo cinese. Fu mandata a tutti gli azionisti e quindi fu recapitata anche a me. Da tempo Esselunga è corteggiata. Nel 2004, quando ero già stato allontanato, presentai io stesso un’offerta da 7,1 miliardi, finanziata da Jp Morgan e da un pool di banche. All’epoca ero il principale azionista con il 36 per cento, mentre Violetta e Marina avevano il 32 ciascuna. Bernardo rispose di no. L’anno dopo disse che c’era un’offerta d’acquisto da parte di Walmart e mi chiese di firmare una procura generale per poter disporre delle azioni che ci aveva intestato: rifiutai, perché la procura generale mi sembrava eccessiva. Ed Esselunga rimase italiana”.
Violetta e lei a conti fatti percepirete 1,2 miliardi a testa. È stato calcolato che, considerando il valore degli asset, Giuliana e Marina hanno preso 2,3 volte tanto.
“Non mi interessa, non voglio fare i conti in tasca agli altri. Credo che, vista la situazione, abbiamo ottenuto il massimo possibile. La Ferrari ora ce l’hanno in mano loro, ed è un unicum europeo e forse mondiale: se saranno brave potranno anche prendere molto di più rivendendola, se a un certo punto decideranno di farlo”.
Tornerà a fare l’imprenditore?
“È possibile, prima o poi. Intanto ho donato 10 milioni di euro per combattere il coronavirus: in parte li ho donati a diversi ospedali e Onlus lombarde, il resto lo distribuiremo o lo investiremo in ricerca scientifica attraverso la fondazione di cui sono appena diventato presidente, intitolata a mio nonno materno Guido Venosta, un pioniere del non profit lombardo”.
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Violetta e Giuseppe con alcuni collaboratori a Chicago negli anni ’80 in una foto scattata da Bernardo Caprotti.



